La lotta degli operai licenziati di Pomigliano, sul campanile per il reddito

La lotta degli operai licenziati di Pomigliano, sul campanile per il reddito

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NAPOLI.«Ci aggrappiamo ai tubi di ferro altrimenti il vento ci butta giù» raccontava ieri a telefono Mimmo Mignano che, con Marco Cusano, da venerdì notte è abbarbicato sulle impalcature che cingono il campanile della chiesa del Carmine, a Napoli. Sotto di loro c’è piazza Mercato e la folla della Pasqua. Mignano e Cusano l’hanno passata affacciati sul vuoto per protestare: lavoravano alla Fiat di Pomigliano d’Arco, insieme a Massimo Napolitano, Antonio Montella e Roberto Fabbricatore sono stati licenziati dall’azienda, diventata nel frattempo Fca, hanno presentato i documenti per avere il reddito di cittadinanza, lo stesso Luigi Di Maio incontrandoli nella sua città d’origine aveva spiegato che l’Rdc era la strada da percorrere, ma le loro domande sono state rigettate.

Il motivo? La Corte d’Appello nel 2017 li aveva reintegrati intimando a Fca di versare anche gli stipendi arretrati poi, però, la Cassazione nel 2018 ha ribaltato la sentenza provocando il loro licenziamento definitivo, adesso sono loro che devono restituire gli stipendi all’azienda. Nel frattempo, nella Certificazione unica dei redditi, richiesta per accedere all’Rdc, i mensili compaiono (anche se l’azienda non li ha mai effettivamente erogati) e le domande sono state cestinate. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha fissato per loro un incontro oggi pomeriggio con il responsabile dell’Istituto per l’area metropolitana di Napoli, in modo da consentire l’erogazione del reddito. I due rifiutano di scendere perché, spiegano, non si tratta di aiutare due o cinque persone ma di rendere la misura più giusta, tutelando tutti coloro che hanno perso il lavoro negli ultimi mesi.

Ieri mattina una delegazione di musicisti con Daniele Sepe è arrivata sotto il campanile per portare la loro solidarietà. Nel pomeriggio, mentre il vento sferzava, è cominciata una pioggia battente. I due sono senza provviste perché la questura domenica ha bloccato ogni rifornimento: «Ci è impedita qualsiasi forma di approvvigionamento di generi di prima necessità. Si tratta di una reazione meschina, abusiva, sproporzionata e illegittima. L’obbiettivo è fiaccarci per costringerci a cessare la lotta ma non ci piegheremo».

I cinque licenziati si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha accolto il loro ricorso: sono stati licenziati nel 2014 per aver protestato inscenando il suicidio e il funerale dell’allora ad Sergio Marchionne, dopo che due operai si erano tolti la vita, erano in cassa integrazione a zero ore e senza speranza di tornare sulle linee. Alla Corte chiedono non il reintegro ma che venga tutelata la libertà di manifestazione e il diritto di critica. Sull’incontro di oggi all’Inps, Mignano e Cusano spiegano: «Si presenteranno i nostri delegati, se non emergerà la volontà chiara di intervenire sulla legge con una misura che tuteli i diritti degli operai licenziati, i veri poveri, andremo avanti a oltranza, una battaglia politica per dire che ci sono migliaia di operai licenziati e costretti alla fame».

* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO



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