Sri Lanka. Dopo la strage il governo nel caos, l’Isis rivendica

Sri Lanka. Dopo la strage il governo nel caos, l’Isis rivendica

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A due giorni dagli attentati in Sri Lanka durante il giorno di Pasqua arriva anche la rivendicazione. La firma lo Stato islamico attraverso l’agenzia Amaq. Ma sono poche righe che reclamano l’affiliazione degli attentatori che, per quanto si sa – e lo stesso vale per gli arrestati – sono solo dello Sri Lanka, un Paese che al califfato di Al Baghdadi ha tributato solo trenta forse quaranta militanti. Poi viene diffusa una fotografia che rappresenterebbe i kamikaze srilankesi. Ma si tratta di otto figure col volto coperto, tranne una al centro che imbraccia un fucile. È l’unica faccia che possa portare a un’identificazione che renda credibile l’immagine.

L’ISOLA INTANTO SI È RISVEGLIA ieri sotto sequestro e con un bilancio delle vittime sempre più in salita che ha ormai superato i 320 morti. Oscurati i social e limitata la viabilità, la notte scatta il coprifuoco e da Colombo è partito l’ordine dello stato di emergenza che consente alle forze di sicurezza di poter agire liberamente.

A comandarle direttamente, per mandato costituzionale, è il presidente Maithripala Sirisena, accusato nel dopo strage di aver ignorato allerta dei servizi segreti indiani e americani dei primi di aprile che annunciavano il rischio attentati. Ma è una polemica, scoppiata lunedì e continuata anche ieri, che sembra soprattutto riflettere la guerra tra presidenza ed esecutivo, guidato dal premier Ranil Wickremesinghe, solo qualche mese fa defenestrato dal presidente Sirisena e poi reinsediato dopo una sentenza della Corte costituzionale.

NEL GIORNO DEL LUTTO nazionale e dei primi funerali, Wickremesinghe si lascia anche scappare un collegamento tra la strage di Pasqua e quella in Nuova Zelanda alla moschea di Christchurch in una sorta di vendetta consumata fredda.

Ma poi smentisce una certezza che è invece solo un ipotesi. E persino la rivendicazione dei fedeli del califfo resta un’ipotesi: gli analisti più attenti focalizzano la mancanza assoluta di prove nel messaggio di Amaq. E così nella foto. Non sarebbe del resto la prima volta che un gruppo terroristico mette il cappello sulle malefatte di qualcun altro. E inoltre lo Stato islamico, terrorismo di ultima covata, è sempre stato particolarmente attento alla comunicazione. Bizzarro che abbia aspettato due giorni e non abbia fornito elementi a sostegno della sua tesi. Le indagini hanno comunque ormai preso la strada della pista islamista. Accanto agli investigatori srilankesi arriva anche l’Fbi americano e Sri Lanka già sembra un altro tassello della guerra al terrore, come del resto spiegava lunedì il segretario di Stato Pompeo anche perché, tra le 38 vittime straniere, ci sono diversi cittadini statunitensi.

È UNA PISTA CHE PER ORA si è fermata al National Thowheed Jamath, un’associazione islamica radicale nota soprattutto per atti vandalici contro obiettivi buddisti. Secondo le autorità a questo gruppo apparterrebbero i sette kamikaze che si son fatti esplodere davanti a chiese e alberghi e alcuni di loro avrebbero addirittura viaggiato all’estero il che confermerebbe l’ipotesi della rete internazionale con affiliati locali.

NON È CHIARO però se ci si riferisca ai suicidi o agli arrestati ora sotto torchio e i cui profili dovevano già essere in una lista visto che già domenica alcuni di loro erano agli arresti.

Forse nei famosi allerta che Sirisena aveva ricevuto dall’India ai primi di aprile e che avrebbe ignorato o sottovalutato e, soprattutto, nascosto al premier? Quel che è sicuro è che un memo della polizia dell’11 di aprile – pubblicato dal New York Times – fa il nome del gruppo e quello del suo capo, Mohammed Zaharan, come possibile pianificatore di un attacco suicida contro obiettivi della chiesa cattolica.

Un memo che, come le informazioni fornite dall’intelligence indiana, non sarebbe mai arrivato fuori dalle stanze del presidente (e dell’ex presidente cui è anche indirizzato). Il paradosso è che l’allerta interna è stato spedita ai settori responsabili della sicurezza del comparto ministeriale, giudiziario e diplomatico, dunque a un numero discreto di persone. Ma al governo non ne avrebbero saputo nulla.

Qualcosa non funziona. Quel che non funziona è soprattutto la catena di comando e di informazioni tra presidenza – a capo dei servizi e dell’esercito – ed esecutivo in quello che il Guardian ha chiamato un «governo parallelo» dopo gli scontri di ottobre tra Sirisena e Wickremesinghe con una crisi al vetriolo tra il capo dello Stato e il parlamento e la ricomparsa in scena dell’ex presidente Mahinda Rajapaksa: il giornale ha scritto che il premier aveva convocato il capo dell’esercito a palazzo già domenica mattina (gli attentati sono avvenuti in gran parte a pochi minuti dalle nove) ma che nessuno si era presentato mancando l’autorizzazione del presidente.

* Fonte: Emanuele Giordana, IL MANIFESTO



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