Bernard Guetta: «Ora l’Italia è un possibile laboratorio per il futuro dell’intera Europa»

Bernard Guetta: «Ora l’Italia è un possibile laboratorio per il futuro dell’intera Europa»

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«A Roma, Vienna, Budapest e Varsavia non ritorna il nazismo, ma cresce una società controllata, dove la libertà rischia di evaporare nel silenzio un poco per volta»

Già voce di France Inter, Bernard Guetta ha analizzato prima del voto europeo ne I sovranisti (Add editore, pp. 190, euro 14,00) i «nuovi nazionalisti al potere» a Budapest, Varsavia, Vienna e Roma.

Dal suo libro emerge come l’Ungheria sia stata fin qui il paese «modello» dei sovranisti: da domenica questo ruolo lo ha assunto l’Italia?
È evidente come il vostro paese occupi sulla scena europea e internazionale un ruolo ben diverso da quello dell’Ungheria. Di conseguenza è chiaro come ora si guardi a Matteo Salvini, più che a Viktor Orbán, come alla figura chiave di quest’area politica. Ciò detto, credo che mentre per il leader ungherese la traiettoria sia già scritta, resterà nel Ppe e cercherà di far pesare al massimo in quel contesto il suo peso, per Salvini, a cominciare dal destino della coalizione con cui governa, si apre uno scenario che contempla diverse ipotesi e che sì, fa ancora una volta dell’Italia un possibile laboratorio per il futuro dell’intera Europa.

Le nuove destre non escono rafforzate dalle urne europee, ma hanno messo radici in alcuni paesi e soprattutto nel disagio sociale un po’ ovunque…
In Francia il Rassemblement national di Le Pen aveva come capolista Jordan Bardella, un giovane cresciuto in una famiglia di immigrati italiani nella banlieue di Parigi, dove del resto l’estrema destra ha aumentato i propri consensi. È infatti chiaro come presso i settori più deboli e sfavoriti della società europea – come del resto anche negli Stati Uniti -, questi movimenti possano contare su un ampio retroterra di consensi ormai consolidati. Quello che non è però ancora chiaro e come intendano spendere politicamente questi voti. Sul piano economico e sociale, oltre al fatto di presentare gli immigrati come i responsabili del malessere diffuso, e di accusare i loro oppositori di essere «mondialisti» o «rappresentanti della grande finanza», non si capisce cosa propongano per rispondere alla crisi.

Se il contesto economico attuale favorisce queste forze, lei spiega come siano per certi versi anche il prodotto della Storia europea, vale a dire?
Non è un caso che i primi paesi nei quali i sovranisti hanno conquistato il potere siano stati l’Ungheria, la Polonia, l’Austria – dove vedremo cosa accadrà ora dopo lo scandalo dell’Ibiza-gate – e l’Italia, a partire da regioni del Nord come Lombardia e Veneto. Può sembrare bizzarro ma se mettiamo insieme questi territori otteniamo una parte delle frontiere di quello che fu l’Impero asburgico. Una realtà che visse sempre in modo contraddittorio il rapporto con l’Occidente e con i valori di libertà e uguaglianza che vi si sono andati affermando. Non a caso oggi in questi paesi le nuove destre dicono di opporsi in nome della «tradizione» a molti dei contenuti della stessa democrazia.

Tutto ciò si traduce nel tentativo di negare diritti acquisiti, di ricostruire nella modernità una società per certi versi arcaica. A cosa assomiglia il mondo sognato dai sovranisti?
Intanto è un mondo dominato ossessivamente dalle paure. Voi conoscete l’allarme costante sull’immigrazione cui deve parte delle sue fortune Salvini, ma a Vienna, Budapest e Varsavia è altrettanto forte l’accento che viene posto sulla minaccia islamica che arriva ad evocare i tempi dell’occupazione ottomana. Poi c’è il terreno dei diritti che indica chiaramente come si vorrebbe una società in cui le donne «tornano al loro posto» e ogni eccezione alla «norma» affettiva e sessuale è percepita come un abominio. Sul fondo, dopo aver viaggiato in questi paesi e analizzato la propaganda sovranista, credo che il pericolo maggiore non sia una nuova stagione sanguinaria, qualcosa che ricordi il nazismo, bensì un mondo controllato, privo di passioni, piccolo e forzatamente tranquillo, dove la libertà evapori nel silenzio un poco per volta.

* Fonte: Guido Caldiron, IL MANIFESTO



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