Elezioni europee 2019. Paradosso Brexit, Farage fa il pieno di voti

by Leonardo Clausi * | 27 Maggio 2019 10:05

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LONDRA. Come volevasi temere. Alle elezioni europee che non dovevano accadere Farage is back, mentre Tories e Labour prendono tante mazzate, redistribuendo i propri voti i primi al Brexit Party del succitato e al suo ex partito Ukip, i secondi ai Libdem e ai verdi.

Mentre scriviamo, con poco più di un quarto dei conteggi ancora da effettuare, Farage porta in Europa 15 deputati con un 31,8% dei voti, seguito dai miracolati Libdem con 7 deputati al 20,4%, da un malconcio Labour con 6 (da 12 che ne aveva al 13,9% (era al 25,1), dai Verdi in potente ascesa con 4 deputati (ne avevano 1) al 12,2 e da degli alquanto pesti conservatori con 2 deputati su 9 che ne avevano (e al 9,1% mentre erano al 24%). È ancora presto per i risultati scozzesi gallesi e nordirlandesi definitivi, ma la performance in Scozia dei nazionalisti del Snp di Nicola Sturgeon si annuncia solida. Nel Galles roccaforte Labour il partito di Corbyn era terzo dietro a Brexit Party e Libdem con leader storici gallesi del passato come Aneurin Bevan e Michael Foot che si rivoltano nella tomba. Può ancora darsi che nella notte il risultato muti, ma è improbabile si capovolga. L’affluenza è salita in certe zone e scesa in altre ma nel complesso si è mantenuta alta.

Così, a soli due giorni dalla deamicisiana uscita di scena di Theresa May, una prima ministra che non potrà mai essere accusata di scarso attaccamento alla propria carica, queste elezioni si sono dunque confermate come una sorta di referendum sull’operato dei due maggiori partiti sulla loro gestione della British Exit.

Dall’esito inappellabilmente punitivo. Questa reductio ad referendum della politica britannica (e anche di quella europea se vogliamo) ormai redistribuisce i meriti e le colpe a ciascun partito in base alla propria condotta Brexit. Questo aiuta a capire le bordate contro i Tories per l’incapacità di May di realizzare la volontà popolare e il cerchiobottismo di Corbyn che non voleva appiattire su posizioni ufficialmente remain un partito che ha una cospicua parte del proprio elettorato che dall’Europa non ha ricevuto un bel niente e che dell’Europa giustamente se ne frega.

Ciò aiuta anche a capire come un partito larvale come i Libdem sia resuscitato riuscendo a battere per la prima volta in assoluto Tories e Labour e facendo dimenticare per una volta le schifezze fatte in coalizione con i Tories o le promesse sulla riduzione delle tasse scolastiche mai mantenute. E aiuta senz’altro anche a capire il successo del Brexit Party di Farage, una roba messa in piedi in sei settimane raccogliendo a bordo tutto quello che si trovava per strada, compresa la segnaletica. Farage si è ripresentato come colui che a malincuore doveva tornare a finire l’opera che gli incompetenti conservatori non erano riusciti/non avevano fortemente voluto compiere. In realtà deve davvero tutto a Theresa May. Senza l’impasse Brexit a quest’ora non saprebbe davvero cosa fare: dopo il referendum del 2016 aveva inutilmente cercato di rifarsi una vita e una carriera negli Usa di Trump. Ma gli era andata storta e meno male che il suo Paese

* Fonte: Leonardo Clausi,  IL MANIFESTO[1]

 

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