Intervista al sociologo De Masi: «Ridurre l’orario è inevitabile e di sinistra. I rider si ribellino»

by Massimo Franchi * | 1 Maggio 2019 9:20

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«In Brasile ho incontrato Lula, mio amico da anni, l’ho trovato molto bene e in fase d’attacco». Il sociologo molisano Domenico De Masi passerà il primo maggio lontanto dall’Italia ma commenta volentieri la situazione nostrana del mondo del lavoro e la sua evoluzione, principale argomento di studio da decenni.


De Masi, i lavoratori non sembrano avere molto da festeggiare…
Dal mio punto di vista la vedo buona per il futuro. Il lavoro è sottoposto a due sollecitazioni: da una parte la globalizzazione che permette di comprare pezzi al miglior prezzo ovunque, dall’altra quella più forte della tecnologia – dall’informatica alla biotecnologie, dai nuovi materiali alle stampanti 3D, dalle nano tecnologie all’Intelligenza artificiale – che riduce il fabbisogno di lavoro perfino dei professionisti e in parte dei creativi. In un’ottica luddista tutto questo sarebbe una grande minaccia, invece in futuro ci costringerà a cambiare sistema e a lavorare tutti di meno.E perché secondo lei non è una minaccia? Si metta nei panni di un rider che invece gira in bici e motorino ed è pagato a cottimo come nell’Ottocento: per lui la tecnologia è solo lo schiavismo di un algoritmo.E difatti il rider dovrebbe essere incazzatissimo. La tecnologia fa produrre più ricchezza, lavorando di meno. Il problema di oggi è la distribuzione del lavoro e della ricchezza. Ma basterebbe copiare la Germania: lì si lavora 1.400 ore l’anno pro-capite e la disoccupazione è il 3,8 per cento; da noi ne lavoriamo 1.800 e la disoccupazione è il 10,5%.

In verità proprio oggi (ieri, ndr) è scesa al 10,2 per cento.

Scommetto che il governo sta sbandierando i dati come postumi, ma sono ridicoli perché il lavoro è sempre più sdrucciolato.

Questo governo però ha prodotto il cosiddetto reddito di cittadinanza. Che giudizio dà della bandiera del M5s?

Il vero reddito di cittadinanza è un’altra cosa. Oramai non esiste più il lavoro a vita, ognuno di noi – sia professore, giornalista o rider – è costretto a cambiare e a sperimentare il dramma della disoccupazione. L’unica cosa che lo stato può fare è saturare i periodi di povertà e per questo nessun paese può esimersi dall’avere una forma di reddito di cittadinanza.

Io sono sempre stato marxista. E’ la sinistra ad essersi allontanata da me. Dopo Berlinguer sono diventati tutti social liberali, per finire con l’aberrazione di Renzi

La critica principale a quello del M5s è che una forma di workfare condizionata e per questo non è un vero reddito di cittadinanza.

Io penso che si possano mettere delle condizioni per percepire il reddito di cittadinanza. Il problema però è che il povero deve mangiare la sera e non può attendere che sia verificato che possa percepirlo. Avessimo poi una rete di centri per l’impiego che funziona, il trovare un altro lavoro sarebbe più credibile: ora no.

Secondo lei quanto tempo servirà per costruirla?

L’ho detto a Di Maio: almeno tre anni per arrivare a livelli sostenibili, comunque lontani dalla Germania che ha 111mila dipendenti e spende 12 miliardi l’anno. Proprio per questo penso che nei primi tre anni il Reddito di cittadinanza dovesse essere senza condizioni. Certo, lo avrebbe preso anche il furbo e il ricco ma è lo stesso principio delle tasse e dell’evasione fiscale: il fatto che ci sia chi non le paga non cambia che sia giusto che ci siano.

Lei dopo essere stato vicino al M5s ultimamente ha partecipato alla presentazione della proposta di legge per la riduzione di orario a parità di salario di Sinistra Italiana. È tornato di sinistra?

Io sono sempre stato di sinistra. È la sinistra che si è allontanata da me. Sono sempre stato marxista mentre dopo Berlinguer la sinistra in Italia è diventata social liberale per finire con l’aberrazione di Renzi. Ho collaborato con tre ricerche al gruppo di lavoro del M5s perché non li considero degli appestati. Ma rimango di sinistra e mi batto per ridurre l’insostenibile dislivello sociale. E in questo senso la riduzione di orario a parità di salario è una norma indispensabile e inevitabile in futuro. Poi, certo, i sindacati vorrebbero ridurre l’orario con la contrattazione ma se non ci riescono una legge è giusta.

Torniamo ai rider: come considera la denuncia dei vip che non pagano le mance e il rischio di violazione della privacy sui loro indirizzi (in realtà a disposizione delle app di delivery). Pensa che le forme di protesta si evolveranno nell’era digitale?

Ognuno è legittimato a protestare nel modo meno cruento possibile. Penso che i rider facciano bene a trovare proteste nuove e la protesta non è mai un piacere per il protestato. Io ho proposto che i rider lavorino gratis un giorno al mese: spaccherebbero il mercato ma serve la forza di un sindacato alle spalle.

Intanto Confindustria continua a parlare di produttività.

La produttività dipende dai datori di lavoro che decidono il piano tecnologico e l’organizzazione del lavoro. Il 20 per cento di gap di produttività con la Germania è dovuto al fatto che i manager italiani sono il 20 per cento meno capaci di quelli tedeschi.

* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO[1]

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