Regioni. In Piemonte finisce l’era Chiamparino: tutto il nord al centrodestra

by Mauro Ravarino * | 28 Maggio 2019 18:59

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TORINO. L’effetto domino leghista non lascia indenne nemmeno il Piemonte, l’esito era probabile ma forse non con una forbice così ampia tra il vincitore, Alberto Cirio (49,8%), e l’ex presidente Sergio Chiamparino (36,6%). Il Nord Italia è, ora, monocolore. Il nuovo governatore, sconosciuto alla platea nazionale, ma già europarlamentare e assessore regionale di Forza Italia con un passato giovanile nel Carroccio, viene trainato dal successo della Lega (37,2%). Chiamparino, storicamente un nome vincente, per quanto consumato, del centrosinistra (fu sindaco di Torino eletto con cifre bulgare) ammette la sonora sconfitta e annuncia di voler lasciare il proprio seggio a Palazzo Lascaris. Male i Cinque Stelle, con Giorgio Bertola, crollati al 13,3%.

L’ELEZIONE DEL NUOVO presidente avviene in contemporanea all’ufficialità della proposta di fusione tra Fca e Renault. Una decisione che inciderà sui destini di una Regione ancora intrappolata nella crisi economica. Una scelta che manda in soffitta il glorioso marchio Fiat – che porta nel nome la parola Torino – e lascia molti interrogativi sul futuro del settore automotive in Italia come in Piemonte, dato lo stallo produttivo in cui versano da tempo gli stabilimenti di Mirafiori e Grugliasco. Qui, continuano a mancare i modelli per saturare l’occupazione locale. L’alleanza industriale è stata subito benedetta dal neo-presidente Cirio: «Quando i grandi colossi dell’industria automobilistica si alleano è per fare qualcosa di più forte». Un approccio in continuità con tutte le maggioranze, di diverso colore e orientamento, che negli ultimi decenni non hanno evitato né contrastato la fuga all’estero del Lingotto.

Tornando ai risultati, Chiamparino ha resistito a Torino città (50%) e, in parte, nella provincia, ma ha perso in tutto il resto del Piemonte. Quello più profondo. Nelle province di Vercelli, Biella, Verbania e Asti, la Lega ha superato il 45% e il candidato a presidente Cirio ha sfiorato il 60%. Complessivamente l’ex governatore Pd ha perso il 10% rispetto al 2014, elezione in cui il centrodestra si fermò al 22%, con solo il 7,3% portato dalla Lega (ancora) Nord. Il candidato M5s aveva il 21,45%: a guardarla oggi sembra un’era fa, prima del governo del Paese e del capoluogo di Regione.

IL RISULTATO PIEMONTESE è stato determinato dall’onda neroverde che ha coinvolto tutta l’Italia, ma è anche mancata, in Piemonte, una vera alternativa al trend attuale, una proposta innovativa, capace di richiamare al voto, perché no, anche un popolo di sinistra assopito e disilluso. Chiamparino si è assunto la responsabilità della sconfitta, spiegando di voler lasciare «il seggio a qualcun altro per dare inizio a una nuova fase». Ha sottolineato: «Ho 71 anni, mi sono sentito di combattere l’ultima battaglia e non credo di avere più molto da dire». Ha rivendicato i risultati raggiunti: «Abbiamo ridato dignità, credibilità ed utilità economica e sociale all’istituzione regionale». E, dicendo di volersi fare da parte, ha decretato la fine di un’epoca politica.

IL SUO SUCCESSORE, Alberto Cirio, condivide con lui posizione sulla Torino-Lione: «La Tav si farà senza se e senza ma. Anche l’Asti-Cuneo, perché si finiscono le cose che sono iniziate». Così non la pensa Giorgio Bertola, M5s, unico candidato a presidente contrario: «Sulla Tav non cambia nulla, c’è un dossier in mano al presidente Conte, la decisione dell’opera è politica e spetta al governo».
Non c’era nessun candidato presidente a sinistra di Chiamparino; con l’ex governatore dem era, però, alleata la lista Liberi Uguali e Verdi, formata da Sinistra Italiana, Mdp, Verdi e Possibile, che ha incassato il 2,5%.

* Fonte: Mauro Ravarino, IL MANIFESTO[1]

photo: Airon90 [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]

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