Ungheria. Salvini con Viktor Orbán in visita alla barriera antimigranti
Forse a mancare sono state solo le pacche sulle spalle con l’amico Viktor Orbán, per il resto il film della propaganda sovranista visto ieri a Budapest contiene tutto il repertorio di retorica, frasi fatte e promesse che ci si può attendere da due leader in campagna elettorale. Matteo Salvini che appena sceso dall’aereo sale sorridendo su un elicottero e si dirige verso il confine tra Ungheria e Serbia, proprio dove il premier magiaro quattro anni fa, quando la guerra civile siriana provocò la fuga di centinaia di migliaia di profughi, fece costruire la prima barriera – lunga 175 chilometri e alta quattro metri – che ancora oggi l’Europa vive come una vergogna ma che Orbán considera come il muro che ha fermato «l’invasione» di migranti. E poi, sempre a favore di telecamere e obiettivi dei fotografi, ecco Salvini che con Orbán accanto scruta il confine con un binocolo. «Mi complimento per come in poco tempo, in modo rapido e incisivo, l’Ungheria abbia presidiato 600 chilometri di confini. L’Italia ha una posizione identica», commenta soddisfatto il ministro alla fine del sopralluogo.
Più che una visita, quella di Salvini in Ungheria è una scommessa su un futuro che è ormai dietro l’angolo. L’incontro tra due leader che in patria hanno il vento nelle vele ma in Europa sono messi all’angolo. Non è infatti degli avversari interni che i due devono preoccuparsi. I sondaggi danno il Carroccio sempre in crescita mentre non più tardi di una settimana fa – stando a quanto reso noto dal Fidesz, il partito di Orbán – un milione di ungheresi avrebbe aderito al programma anti-migranti del premier magiaro ideatore delle democrazia illiberale.
L’incognita vera per entrambi riguarda cosa accadrà il 26 maggio, quando si voterà per rinnovare l’europarlamento. E soprattutto che ruolo avrà il Ppe nel tentativo di costruire «un’Europa più a destra» di quella di oggi. «Confidiamo che la nuova Europa dal 27 maggio proteggerà le sue frontiere esterne, perché il problema non è redistribuire i migranti ma evitare che ne arrivino», spiega il ministro leghista.
Orbán approva, ma sebbene il Fidesz a Bruxelles sia sospeso da marzo, a lasciare il Ppe, come vorrebbe Salvini, non ci pensa neppure. Semmai se ne riparla dopo il voto, spiega il premier ungherese, i cui programmi prevedono al massimo un’alleanza con il gruppo che il leghista sta mettendo su insieme ad alcune altre forze nazionaliste europee. Per quanto riguarda il Ppe, la speranza di Orbán è di riuscire a condizionarne la politica: «Deve guardare a destra, ad esempio al partito del signor Salvini», afferma. « Dobbiamo cercare i nostri alleati tra chi è contro l’immigrazione, ma ora il Ppe è diviso e noi siamo in minoranza».
E’ un po’ come rivedere a Budapest le scene viste a Milano il 28 agosto scorso, quando fu Orbán a venire in Italia per incontrare Salvini e se ripartì senza aver concesso praticamente niente al leader del Carroccio. Insomma, colpire insieme va bene, purché si continui a marciare separati. Nel frattempo si va avanti con proposte già sentite e per ora archiviate, come quella di aprire fuori dai confini dell’Unione europea centri di identificazione dei migranti o la minaccia di rivedere gli accordi commerciali con i paesi extraeuropei che non agevolano il rimpatrio dei loro cittadini.
A sottolineare l’isolamento dei due leader nazionalisti ci sono i commenti all’incontro che arrivano dall’Europa. Annegret Kramp-Karrenbaur, leader della tedesca Cdu non usa giri di parole per avvertire Orbán che se dovesse entrare nell’alleanza creata da Salvini per lui «non sarà più possibile tornare nel Ppe». Insolitamente duro anche Jean Claude Juncker: «Gli entusiasti del nazionalismo stupido dovranno pagare un prezzo», dice il presidente della Commissione europea mentre Manfred Weber, candidato per i popolari a sostituire proprio Juncker alla guida della Commissione, smorza le speranza di Orbán di riuscire a condizionare le politiche del Ppe: «Orbán non ha più impatto sulle politiche del Ppe».
L’incontro di Budapest è anche l’occasione per un nuovo scontro all’interno della maggioranza gialloverde. Ad attaccare è direttamente Luigi Di Maio: «Non ha senso – dice il capo politico dei 5 Stelle – che viene qui in Italia come fa la Lega a dire combattiamo l’austerity e poi ti allei con forze come quella di Orbán che quando facevamo la guerra all’austerità chiamavano Juncker per chiedere più austerità per l’Italia»,.
* Fonte: Carlo Lania, IL MANIFESTO
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