La denuncia di Alarm Phone: più di cento migranti abbandonati in mare

by Leo Lancari * | 21 Giugno 2019 8:54

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Accogliere i rifugiati è «un dovere» e «un principio costituzionale» ha ricordato ieri Mattarella celebrando la Giornata mondiale del Rifugiato. Un appello che il capo dello Stato ha rivolto anche all’Unione europea esortandola a trovare politiche comuni per far fronte a un fenomeno come l’immigrazione al quale, ha ricordato, «nessun paese è in grado da solo di rispondere».

Forse mai come in questo caso le parole del presidente della Repubblica sono rimaste inascoltate. Mentre Mattarella parla di solidarietà Matteo Salvini continua a vantarsi del fatto che non darà mai il permesso di sbarcare ai 43 migranti bloccati da otto giorni sulla Sea Watch 3, mentre nel Mediterraneo un gommone in avaria attende da almeno 24 ore che qualcuno si faccia vivo per soccorrere le 20 persone che si trovano a bordo. «Abbiamo avvertito la cosiddetta Guardia costiera libica e le autorità italiane, ma finora nessuno è intervenuto», denuncia Alarm Phone, la piattaforma che raccoglie le richieste di aiuto dei migranti. Mentre l’aereo Colibrì di Sea Watch diffonde le immagini di un gommone affondato e senza nessun segno di vita nei pressi del relitto.

C’è ben poca della solidarietà di cui parla Mattarella nelle cronache dei ieri. Il gommone di cui parla Alarm Phone sarebbe partito mercoledì notte dalla Libia. A bordo ci sono 120 persone, tra le quali 15 donne e sei bambini. «Il motore è in avaria e varie persone stanno male. Urge salvataggio immediato», spiegano i volontari di Alarm Phone.

Passano le ore, però, e non succede niente. Non una motovedetta libica si avvicina per constare le condizioni dei migranti, né dalle sale di coordinamento di soccorso dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo si chiede l’intervento di eventuali navi che si trovano nelle vicinanze. Niente. «Abbiamo informato le autorità italiane e la cosiddetta Guardia costiera libica, dato che l’Europa ha costantemente fallito nel rispondere a situazioni di pericolo in questa zona del mediterraneo – informano i volontari di Alarm Phone quando ormai è già sera-. La Guardia costiera libica ha ricevuto le nostre informazioni ma non reagisce dalle 14,10».

Nel frattempo si ha anche notizia di altri due gommoni in difficoltà.
Intanto la Sea Watch 3 continua a navigare al largo di Lampedusa senza entrare nelle acque territoriali italiane, rispettando così il divieto imposto dalla direttiva firmata dai ministri Salvini, Trenta e Toninelli. «Il divieto che ci impedisce di entrare nelle acque italiane – ha spiegato ieri la portavoce della Ong tedesca, Giorgia Linardi – è anche un divieto che impedisce al comandante di esercitare un suo diritto sacrosanto, quello di sbarcare prima possibile le persone in un porto sicuro, considerato lo stato di emergenza umanitaria a bordo». Un diritto che ieri è stato ricordato anche dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) in un appello diffuso per la Giornata mondiale del Rifugiato. «L’Europa ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione dell’architettura legale che sorregge il diritto internazionale in materia di asilo», ha detto Vincent Cochetel, inviato speciale Unhcr per il mediterraneo centrale. «E’ giunto il momento di invocare quella storia gloriosa e di permettere i rifugiati soccorsi di scendere a terra in sicurezza».

Dopo aver passato otto giorni prigionieri in mare, a bordo della Sea Watch 3 le condizioni fisiche e psicologiche dei naufraghi, tra i quali ci sono ancora tre bambini, e dell’equipaggio cominciano a farsi difficili. Ieri i migranti hanno composto con dei fogli di carta la scritta «Don’t forget about us», non dimenticatevi di noi proprio per sollecitare un intervento da parte dell’Unione europea. «Il comandante sta resistendo – ha fatto presente Linardi – ma è sempre più forte la sua insofferenza, dell’equipaggio e delle persone a bordo. la permanenza è sempre più debilitante». La portavoce della Ong ha definito la richiesta del governo italiano di riportare in Libia i migranti «un’indicazione cinica, disumana e illegale». «Riportare queste persone in Libia sarebbe un reato, sarebbe un respingimento collettivo». La Sea Watch è dunque intrappolata tra la responsabilità del comandante di portare al sicuro i migranti e il rischio che, varcato il limite delle acque territoriali italiane, la Ong venga criminalizzata.

* Fonte: Leo Lancari, IL MANIFESTO[1]

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