Si apre il G20 di Osaka. Partita cruciale della Cina con Trump
Sui media asiatici – in vista dell’inizio odierno del G20 di Osaka – si sottolinea da tempo il costante offuscamento dell’assise globale da parte di Cina e Stati uniti; quasi sempre – specie di recente – l’attenzione è infatti concentrata sugli incontri a latere del vertice tra i delegati americani e quelli cinesi, il cosiddetto «G2».
ANCHE IN VISTA DEL G20 giapponese, da giorni si discute per lo più della possibilità di un faccia a faccia tra Xi Jinping e Trump: quanto meno è stato così fino allo scoppio della questione iraniana e dei recenti problemi americani con il Giappone, derivanti dalla nuova politica asiatica di Trump poco incline a concepire la garanzia di sicurezza a Tokyo e altri paesi, senza avere un chiaro ritorno economico in cambio.
I rischi dell’escalation con l’Iran, in particolare, hanno finito per catapultare Pechino su più scacchiere, forse suo malgrado, senza dimenticare, inoltre, la questione coreana, un altro dei possibili ambiti di discussione tra Cina e Usa.
Nei giorni scorsi, sia per la stampa americana sia per quella cinese, le delegazioni cinesi e americane avrebbero raggiunto una sorta di «pre-compromesso» che dovrebbe consentire ai due presidenti di siglare un «armistizio» sulla guerra delle tariffe. Politico ha però lasciato intendere, dopo aver ascoltato fonti tanto di Washington quanto di Pechino, che Trump sia pronto a nuovi dazi contro la Cina nel caso di un mancato accordo, benché solo al 10%.
NELL’ELENCO DELLE PRIORITÀ di Pechino, di sicuro il possibile faccia a faccia tra Xi Jinping e Trump è la partita più importante; il resto rientra, in modo diverso, in questo confronto, il più rilevante in assoluto per la Cina. Per arrivare a questo momento Xi Jinping ha scelto una strada particolare, in parte determinata dalla propria linea politica e in parte da quanto accaduto in queste settimane.
Di fronte a uno scontro che ha finito per pervadere ogni ambito del confronto tra Cina e Usa (dai dazi, alla corsa tecnologica, fino alla questione dei diritti umani in Xinjiang e lo scontro tra manifestanti e governo filo cinese a Hong Kong), Xi Jinping ha scelto innanzitutto di rinsaldare la «propria» squadra: prima ha incontrato Vladimir Putin, poi è andato a Pyongyang a incontrare Kim Jong-un. Per quanto riguarda quest’ultimo summit, secondo alcuni analisti cinesi Xi non sarebbe intenzionato più di tanto a usare il peso cinese per la risoluzione della crisi coreana di fronte a Trump, quanto a ribadire a Kim Jong-un la sua dipendenza da Pechino.
POI È ARRIVATA la «crisi iraniana», la tipica situazione che Pechino cerca di gestire limitando al minimo il proprio coinvolgimento: da un lato la Cina ha ribadito il proprio sostegno a Teheran, dall’altro però sembra non voler spingere troppo sull’acceleratore, tenendo presente la propria agenda che vuole, come ambito più rilevante, quello dei dazi con l’amministrazione americana: il rischio per la Cina è di scatenare nuove rotture insanabili, che Xi vuole evitare a tutti i costi.
Per questo lo scontato l’appoggio all’Iran sarà confermato ma senza darne troppa enfasi, per quanto lo stesso Iran abbia sottolineato l’importanza del ruolo della Cina, paese con il quale ha un rapporto più «politico» che non economico (la Cina era una delle principali acquirenti di petrolio iraniano, fino alle ultime decisioni di Trump).
SULLO SFONDO DELLO SCONTRO con gli Stati uniti, si è poi presentata anche la questione giapponese: il presidente americano ha sottolineato più volte la necessità da parte dei suoi alleati di «pagare» per la sicurezza che gli Usa garantiscono. Nei giorni scorsi si è addirittura parlato di una possibile rottura di quelle relazioni che dalla fine della seconda guerra e successivamente negli anni ’60 regolano i rapporti militari tra Washington e Tokyo; ipotesi negata da entrambe le parti, ma che ha finito per riavvicinare – in teoria – Pechino al Giappone sui temi della sicurezza regionale.
Sarebbe un ottimo scenario per Pechino: la Cina sa che in questo momento, in Asia, è proprio il piano economico a guida giapponese e americana, una sorta di «piccola via della seta», a costituire un potenziale intoppo allo slancio globale cinese.
* Fonte: Simone Pieranni, IL MANIFESTO
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