LA CRISI È ARRIVATA ancora prima dell’inizio ufficiale del Consiglio, domenica, con tre ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Il gruppo Ppe si è ribellato a Angela Merkel, che come ha commentato con crudeltà un diplomatico «non tiene più le sue truppe»: la cancelliera aveva concluso a Osaka un accordo con Emmanuel Macron, lo spagnolo Pedro Sanchez e l’olandese Mark Rutte, cioè un’intesa tra rappresentanti di tre sui quattro gruppi che devono mettersi d’accordo (i Verdi non sono presenti a livello di Consiglio). Nel piano di Merkel, il Ppe avrebbe accettato di perdere la presidenza della Commissione, dopo 15 anni di direzione consecutiva, a favore dei socialdemocratici con l’olandese Frans Timmermans, ma avrebbe conservato la presidenza del Consiglio (Kristalina Georgieva o Mariya Gabriel, entrambe bulgare, anche se nessuna delle due è mai stata primo ministro, una prassi che non sarà quindi più rispettata) e quella del Parlamento (Manfred Weber, lo Spitzenkandidat Ppe giudicato inadeguato per succedere a Jean-Claude Juncker). Ai liberali la carica di Mr.Pesc (il belga Charles Michel). Margrete Vestager, liberale danese, avrebbe ottenuto la carica di prima vice-presidente. Poi gli aggiustamenti necessari per rispettare i vari equilibri sarebbero venuti dai Commissari e dai comitati legislativi dell’Europarlamento. Ma questo castello di carte è crollato perché alla riunione del Ppe è stato respinto e al Consiglio non sono arrivati a contarsi con un voto, per evitare di creare una frattura troppo visibile (ci vuole una doppia maggioranza, al Consiglio maggioranza qualificata rafforzata di 21 paesi su 28, al Parlamento servono 376 voti).
A GUIDARE LA CARICA anti-Timmmermans è stato l’ungherese Viktor Orbán, che con una lettera a Joseph Daul, presidente del Partito popolare europeo, ha denunciato un «errore storico», una «umiliazione» per il gruppo. Ai 4 paesi Visegrad (con l’Ungheria, Repubblica ceca, Polonia, e Slovacchia) si è unita poi l’Italia (eppure con questo equilibrio la Bce sarebbe andata alla Francia mentre in un’altra configurazione potrebbe andare in mano tedesca o comunque ai «falchi»). «Abbiamo fallito – ha commentato Macron – una bruttissima immagine per il Consiglio e per l’Europa», la causa sono «ambizioni personali» eccessive e un «processo mal pensato».
LE CARTE RESTANO in mano al Ppe, gruppo indispensabile per avere una maggioranza. E il Ppe non ha digerito l’abbandono del meccanismo dello Spitzenkandidat, che avrebbe dato la presidenza a Manfred Weber. Questo candidato tedesco della Csu dovrebbe essere eletto alla presidenza dell’Europarlamento il 3 luglio. Per questo, i capi di stato e di governo hanno fretta di arrivare a una decisione sui top jobs oggi, perché Strasburgo potrebbe decidere altrimenti (votare per un altro candidato, circola anche l’ipotesi di una riconferma di Antonio Tajani) e così mettere altro caos, perché Weber rimarrebbe da sistemare e tutta la costruzione da equilibristi crollerebbe definitivamente. L’elezione di Timmermans sarebbe un segnale interessante, anche se il social-democratico era già vice-presidente con Juncker, perché marcherebbe un cambiamento politico dopo 15 anni di governo conservatore.
* Fonte: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO