by Adriana Pollice * | 4 Luglio 2019 12:13
La gip di Agrigento Alessandra Vella, negando la convalida dell’arresto per la capitana della Sea Watch 3 Carola Rackete, ha smontato il decreto Sicurezza bis, eretto da Matteo Salvini come un bastione contro le Ong. L’ordinanza – Costituzione, codici e normative internazionali alla mano – dimostra come proprio Rackete sia stata quella che ha rispettato il diritto, al contrario della misura bandiera di Salvini.
La procura aveva chiesto per la comandante la convalida dell’arresto eseguito dalla Guardia di finanza il 29 giugno, quando la comandante ha deciso di entrare nel porto di Lampedusa nonostante il divieto. Il pm l’ha accusata di resistenza e violenza nei confronti della nave da guerra della Fiamme gialle e ancora di violenza per essersi opposta ai pubblici ufficiali della vedetta. Il primo capo d’accusa viene cassato perché le unità della Gdf sono considerare navi da guerra solo «quando operano fuori dalle acque territoriali». Il secondo pure è giudicato infondato perché «sulla scorta di quanto dichiarato dall’indagata e dei video, il fatto deve essere molto ridimensionato». La manovra pericolosa viene giustificata perché l’indagata «ha agito in adempimento di un dovere». Vella spiega qual è il dovere: «L’attività del capitano, di salvataggio di naufraghi, deve considerarsi adempimento degli obblighi derivanti dal complesso quadro normativo» nazionale e internazionale.
La gip boccia il decreto Sicurezza bis in base al diritto e non alle convinzioni politiche (come Salvini ha insinuato, furioso, martedì sera via social): «Su tale quadro normativo non si ritiene possa incidere il decreto legge 53 del 2019»: il divieto interministeriale di ingresso, transito e sosta può scattare solo in presenza di attività di carico e scarico di merci o persone, ma non è il caso in esame perché la gip ricorda che si tratta di un salvataggio e per questo la nave non può considerarsi «ostile». Anche la resistenza a pubblico ufficiale viene giudicata come inevitabile, come cioè «l’esito dell’adempimento del soccorso» che, ricorda Vella, si esaurisce solo con «la conduzione fino al porto sicuro».
La gip mette in fila due elementi fondamentali, in contrasto con il decreto voluto da Salvini: non si può arbitrariamente bollare come offensivo il passaggio di una nave, soprattutto se è impegnata in un salvataggio; anche allo straniero entrato illegalmente durante un salvataggio devono essere assicurati sbarco e assistenza, solo dopo si può procedere al rimpatrio. Infine la gip sgombra il campo: Libia e Tunisia non hanno porti sicuri. Vella conclude: le direttive ministeriali in materia di «porti chiusi» o il provvedimento del ministro dell’Interno, firmato da Difesa e Infrastrutture, in base al quale si è stabilito il divieto di ingresso, transito e sosta alla Sea Watch 3, non ha «nessuna idoneità a comprimere gli obblighi del capitano», e persino sulle autorità nazionali, in materia di soccorso e salvataggio.
L’avvocato della capitana, Alessandro Gamberini, spiega: «Si è trattato dell’adempimento di un dovere, rispetto a norme che impongono di sbarcare le persone pena il pregiudizio di valori assoluti, come la tutela dell’integrità fisica di chi viene raccolto in situazioni di naufragio». E sul decreto Sicurezza bis: «Il giudice dimostra, attraverso il richiamo a norme internazionali cogenti, sia l’illegittimità della pretesa di chiudere i porti da parte del ministro dell’Interno, sia del divieto finale di attracco ripristinando l’equilibrio dei valori e la prevalenza dell’incolumità della vita, rispetto all’arbitrarietà di scelte operate per motivi propagandistici».
* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO[1]
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