L’Iran nega il tentato sequestro di una petroliera britannica

by Michele Giorgio * | 12 Luglio 2019 11:30

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Si aggrava la crisi delle petroliere. Il capitano della Grace 1, la petroliera iraniana sequestrata la scorsa settimana, e il suo ufficiale, entrambi di nazionalità indiana, sono stati arrestati ieri dalle autorità di Gibilterra, territorio d’oltremare del Regno Unito. Secondo Londra avrebbero violato le sanzioni europee contro Damasco trasportando petrolio verso la Siria. Teheran nega. Così come i Guardiani della Rivoluzione dell’Iran, i Pasdaran, negano di aver provato a fermare una petroliera britannica nello Stretto di Hormuz per poi ritirarsi dopo gli avvertimenti di una fregata della Marina militare britannica che scortava la nave. Che tutto ciò sia realmente avvenuto, o solo una parte di esso, è difficile stabilirlo con certezza. Lo scontro sulle petroliere tra Tehran e Londra (appoggiata dagli Usa) è fatto anche di propaganda. Da parte loro gli americani sostengono che un loro aereo ricognitore avrebbe filmato l’accaduto.

«Nelle ultime 24 ore non ci sono stati incidenti che hanno visto coinvolte imbarcazioni straniere, nemmeno una britannica, nello Stretto di Hormuz», scrivono i Pasdaran in una nota diffusa dopo le versioni date da Londra e Washington secondo le quali tre (o cinque) imbarcazioni veloci iraniane si sarebbero avvicinate alla petroliera British Heritage intimando al comandante di fare rotta verso le coste iraniane. A quel punto sarebbe intervenuta la fregata britannica Montrose che si trovava in quella zona per scortare un’altra petroliera, la Pacific Voyager. L’unità da guerra ha puntato i cannoni contro i motoscafi dei Guardiani della Rivoluzione costringendoli a ritirarsi.

Comunque sia andata, l’episodio offre nuove munizioni a Washington, schierata contro l’Iran, che due giorni fa ha annunciato la volontà di creare entro un paio di settimane una coalizione di Stati “volenterosi” incaricata di sorvegliare le acque che vanno dallo Stretto di Hormuz, la porta del Golfo dove transita un quinto delle esportazioni mondiali di greggio, fino allo Stretto di Bab al Mandeb vicino alle coste yemenite, sulla rotta per il Canale di Suez. In base al piano, al quale sta lavorando il capo di stato maggiore Joseph Dunford, la Marina Usa fornirà le navi di comando e guiderà la sorveglianza mentre gli alleati pattuglieranno e scorteranno le navi commerciali con le loro bandiere nazionali. Il fine sarebbe quello di impedire «attacchi iraniani» alle petroliere. In realtà l’Amministrazione Trump punta ad attuare un rigido blocco navale delle coste iraniane grazie a una coalizione di forze che potrebbe attaccare in modo devastante Tehran alla prima buona occasione.

Ieri Trump ne ha discusso, assieme ad altri temi, con il premier israeliano Netanyahu che, da parte sua, continua ad invocare severe misure punitive contro l’Iran che qualche giorno fa ha annunciato l’aumento dal 3,67% al 4,5% dell’arricchimento dell’uranio per le sue centrali nucleari. Siamo molto lontani dal 90% necessario per assemblare ordigni atomici. Eppure per Israele e Stati uniti questo piccolo aumento indica l’intenzione iraniana di costruire bombe atomiche. «Gli Usa volevano condannarci davanti al mondo ma sono rimasti isolati», ha commentato il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif al termine della riunione straordinaria del Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), convocata due giorni fa a Vienna su richiesta americana. L’Amministrazione Trump voleva la condanna dell’Iran. «La superpotenza mondiale – ha notato Zarif – non è riuscita a ottenere neppure una dichiarazione di una sola riga alla presenza di tutti i suoi alleati».

* Fonte: Michele Giorgio, IL MANIFESTO[1]

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