Un mondo alla rovescia, un pianeta ferito e stressato

by Alberto Zoratti, dal 16° Rapporto sui diritti globali | 6 Luglio 2019 6:56

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Dal 16° RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI[1] – Un mondo alla rovescia

4° Capitolo: AMBIENTE E BENI COMUNI

Il Contesto – LA SINTESI

I cambiamenti climatici, con l’aumento di eventi meteorologici estremi, l’accaparramento della terra, la scarsità di acqua che la sta trasformando in “oro blu”, l’approvvigionamento energetico e la difficile transizione alle energie alternative sono i temi ambientali sul tappeto del confronto internazionale che avrà a Katowice, in Polonia, nel dicembre 2018, il suo prossimo appuntamento COP24.

La corsa all’accaparramento della terra. Per land grabbing si intende l’accaparramento delle terre a fini speculativi da parte di imprese pubbliche o private. È un fenomeno in crescita e colpisce centinaia di milioni di persone. Secondo l’Osservatorio Land matrix, a oggi sono 1.591 gli accordi conclusi, per un totale di quasi 49 milioni e 200 mila ettari, un’ampiezza grande quanto i quattro quinti dell’intera penisola iberica. All’orizzonte ci sono già altri 209 accordi per quasi 20 milioni di ettari. La maggior parte riguarda terreni agricoli, con conseguente peggioramento delle condizioni delle comunità indigene, seguiti a molta distanza da gestioni forestali. Sono solo tre le zone che si stanno salvando da questo assalto alla diligenza: Stati Uniti, Europa occidentale e Australia. La top ten dei Paesi investitori vede al primo posto gli USA, seguiti da Malesia, Singapore, Cina, Brasile, Emirati Arabi, Regno Unito, India, Olanda e Arabia Saudita. I Paesi obiettivo del land grabbing sono invece la Repubblica Democratica del Congo, con oltre 5 milioni di ettari, seguita da Papua Nuova, Indonesia, Brasile, Ucraina e Sud Sudan. Il fenomeno impatta fortemente a livello ambientale, sociale, economico e culturale. L’accaparramento della terra provoca, infatti, lo spostamento di persone da una zona all’altra con il conseguente abbandono di tradizioni culturali ma anche con l’impoverimento di queste comunità. Nel luglio 2018 il Parlamento Europeo, che sul tema si era già pronunciato nel 2017, ha dato via libera a una risoluzione sulla tutela dei diritti dei popoli indigeni con particolare riferimento al land grabbing.

I difensori dei diritti umani e ambientali. Per Ben Leather di Global Witness, un coordinamento internazionale di organizzazioni non governative in difesa dei difensori dei diritti umani, «finché le comunità non saranno realmente incluse nelle decisioni sull’uso della loro terra e delle loro risorse naturali, chiunque denuncerà la situazione continuerà a subire minacce, arresti e il rischio di essere ucciso». Infatti, nel 2017 sono state 207 le persone uccise nel mondo per aver difeso i diritti delle loro comunità o dell’ambiente, la maggior parte dei quali in America Latina. In Asia, le Filippine sono il Paese più a rischio. In Africa lo scorso anno 17 dei 19 difensori della terra uccisi, hanno perso la vita opponendosi ai bracconieri e all’estrazione illegale di materie prime.

Water grabbing. L’acqua sta diventando “l’oro blu’”, visto che solo l’uno per cento di tutte le acque di superficie è disponibile per il consumo umano. Oltre un miliardo sono le persone che nel mondo non hanno accesso all’acqua e il 70% delle terre è ormai a rischio desertificazione. Tutto ciò a causa dell’accaparramento idrico e nonostante le Nazioni Unite nel 2010 abbiano riconosciuto che l’accesso all’acqua potabile è tra i diritti umani fondamentali. La scarsità idrica può innescare guerre e conflitti. Basti pensare che in Ruanda, in circa 50 anni, si è passati da 3.114 metri cubi di acqua a persona a 837 e in Siria da 1.463 a 300. Nei prossimi venti anni la domanda di acqua crescerà di circa il 40% nei Paesi in via di sviluppo.

In Italia nel 1962 ogni cittadino aveva a disposizione 3.587 metri cubi di acqua, diventati nel 2018 meno di tre mila. Nel Paese la spartizione della distribuzione idrica ha sofferto il processo di aggregazione e di fusione di diverse multiutility che tentano di prevalere le une sulle altre. Un esempio tra tutti: A2A, Acea, Iren e Hera servono un bacino totale di utenti che ammonta a 15 milioni di persone. Una tendenza già tramontata in altri Paesi che stanno spingendo per ripubblicizzare l’acqua con taglio di costi, efficienza operativa e un più alto livello di trasparenza. Negli ultimi 15 anni i casi di rimunicipalizzazione sono stati 235 in 37 Paesi, per un numero di utenti che si aggira attorno ai cento milioni di persone.

La sovranità alimentare. Quando acqua e terra sono sotto attacco, e si trasformano da elementi primari ad asset finanziari, i rischi non si fermano alle comunità e al loro diritto all’accesso ai beni comuni, o alla salvaguardia ambientale e al pericolo di nuove speculazioni. Sono interi comparti economici che finiscono nelle mani di pochi, grandi soggetti i quali, controllando gli anelli più strategici della filiera, arrivano a controllare buona parte della produzione e del consumo di alimenti. Sono ambiti e settori che andrebbero protetti dalla competizione internazionale, proprio perché non toccano solamente questioni economiche, ma in virtù del loro collegamento con i cicli naturali e con diritti fondamentali come quello all’alimentazione, riguardano una sfera molto più ampia che tocca questioni sociali e collegate al diritto umano. La sovranità alimentare è un diritto messo continuamente a rischio dalle dinamiche dei mercati, dalla loro liberalizzazione, ma soprattutto dalla progressiva concentrazione in poche mani dell’intero comparto agricolo. L’operazione di acquisizione della Monsanto da parte della Bayer crea un moloch economico-finanziario di proporzioni globali: un accordo da oltre 66 miliardi di dollari, concluso nel giugno del 2018, che ha portato alla nascita del primo big del settore delle sementi e dei fertilizzanti, uno scenario che rischia di mettere sotto controllo completo l’intera filiera di produzione, con impatti rilevanti per produttori, allevatori e per la qualità degli alimenti. La fusione tra le due multinazionali ha seguito l’accordo di oltre 120 miliardi di euro tra DuPont e Dow Chemical, avvenuto l’anno precedente.

Petrolio, gas e alternative. La questione gas è sempre più al centro del dibattito politico ed economico. Da una parte, l’accordo di Parigi e gli scienziati che studiano il cambiamento climatico chiedono una progressiva decarbonizzazione per poter restare all’interno dello scenario da +1,5 gradi; dall’altra, l’Unione Europea e alcuni Paesi membri, tra cui l’Italia, spingono per investimenti nel campo dell’estrazione, del trasporto e del riprocessamento del gas naturale, in modo da passare più gradualmente dal carbone e petrolio alle energie alternative. Il progetto di fare dell’Italia una vera piattaforma logistica per il gas è pesantemente criticato dalle associazioni ambientaliste. Al centro delle polemiche c’è la Trans Adriatic Pipeline (TAP), un gasdotto di 878 chilometri che dovrebbe unire la Trans Anatolian Pipeline in Asia Minore con l’Italia e quindi l’Europa importando oltre 20 miliardi di metri cubi all’anno di gas dal Mar Caspio. L’infrastruttura è stata al centro di mobilitazioni nella zona della Puglia, a Melendugno, dove dovrebbe passare il tracciato per l’impatto ambientale. Inoltre, pubblicazioni scientifiche mettono in dubbio l’effettiva strategicità e convenienza della costruzione. La realizzazione di infrastrutture collegate al trasporto di gas, infatti, sposterebbe ancora in avanti la transizione alle energie alternative e non fossili.

Il caso Chevron Texaco. In Ecuador orientale l’attività di estrazione petrolifera impazza coperta da leggi che non rispettano i minimi standard ambientali e sociali delle comunità indigene. Oltre 20 milioni di ettari di terra sono andati perduti, sostituiti da impianti di trivellazione. La più attiva in questo campo è la Chevron Texaco che con le sue trivellazioni tra il 1964 e il 1990 ha provocato un danno ambientale per oltre 450 ettari di terreno costruendo inoltre 350 pozzi petroliferi nell’amazzonia ecuadoriana settentrionale. Per l’estrazione di 5,3 miliardi di litri di petrolio sono state sversati nei corsi d’acqua 70 miliardi di litri di acque tossiche. Un disastro che nel 1993 ha portato 75 campesinos a denunciare, in rappresentanza della comunità locale, la Chevron. La prima condanna arrivata nel 2011 ha deciso il risarcimento da parte della compagnia per 9,5 miliardi di dollari. Condanna confermata nel 2013 e di nuovo nel 2018, ma la compagnia si è sempre rifiutata di pagare.

Cambiamenti climatici ed eventi estremi. Il cambiamento climatico, con l’innalzamento delle temperature, sta cominciando a causare danni ambientali e sociali fino a pochi anni fa imprevedibili. Gli ultimi dati della NASA, dell’agosto 2018, parlano di una superficie minima del ghiaccio artico diminuita del 13,2%, la copertura glaciale è scesa di 413 miliardi di tonnellate all’anno e il livello del mare sta aumentando di 3,2 mm all’anno, con conseguente tropicalizzazione delle aree temperate del pianeta con conseguente aumento della possibilità di creazione di cicloni ma non più diretti verso gli USA bensì verso l’Europa. I danni dai cambiamenti climatici non si fermano agli eventi estremi ma modificano gli equilibri naturali e mettono in pericolo intere specie animali e vegetali. L’unica soluzione è contenere l’aumento della temperatura entro un grado e mezzo, anche favorendo una decisa transizione verso energie alternative, abbandonando definitivamente i combustibili fossili.

Dissesto idrogeologico e consumo del suolo. L’Italia è un Paese esposto al rischio climatico. Il dissesto idrogeologico è uno dei suoi grandi mali così come il consumo di suolo: ogni anno in Italia spariscono 52 km quadrati di territorio a causa di cementificazione, infrastrutture e cantieri. Il rischio frane, secondo i dati ISPRA, riguarda, in varia misura, 7.275 Comuni, il 91,1%, con una superficie delle aree classificate che ammonta a 50.117 km quadrati, 16,6% del territorio nazionale. La popolazione a rischio frane ammonta a 1.281.970 abitanti, il 2,2% del totale. I residenti a rischio elevato di alluvioni sono 2.062.475; quelli a rischio pericolosità media 6.183.364; 9.341.533 quelli con scarsa probabilità di alluvioni.

Debito ecologico. Il primo agosto 2018 l’umanità ha esaurito tutte le risorse naturali a sua disposizione fino alla fine dell’anno. Da quel momento in poi si è cominciato ad attingere al patrimonio futuro, depauperando il pianeta. La tendenza può essere rallentata agendo sugli stili di vita, per esempio nelle abitudini alimentari e nel riciclo del cibo (lo spreco alimentare riguarda1,3 miliardi di tonnellate all’anno). Le calorie animali, ad esempio, hanno un impatto rilevante sul consumo di risorse, dato il ciclo di allevamento e produzione. Per questo, ad esempio la Cina si è impegnata a diminuire il consumo di carne del 50% entro il 2030.

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Foto di DarkWorkX[4] da Pixabay[5]

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Endnotes:
  1. 16° RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI: https://www.dirittiglobali.it/16-rapporto-sui-diritti-globali-2018/
  2. DIRETTAMENTE ONLINE DALL’EDITORE: http://www.ediesseonline.it/catalogo/rapporti/rapporto-diritti-globali-2017
  3. qui: https://www.dirittiglobali.it/wp-content/uploads/2018/12/Rapporto-Diritti-Globali_indice.pdf?x40542
  4. DarkWorkX: https://pixabay.com/it/users/DarkWorkX-1664300/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=4277613
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