Crisi di governo. Alla fine Salvini strappa, ora i tempi li detta Mattarella
«L’ho ribadito oggi al presidente Conte: andiamo subito in parlamento per prendere atto che non c’è più una maggioranza, come evidente dal voto sulla Tav, e restituiamo velocemente la parola agli elettori». La giornata più lunga del governo gialloverde finisce con un Matteo Salvini che si avvia verso a Pescara – l’unico comizio che non ha sconvocato in tutta la giornata – deve prendere atto che la crisi si aprirà, ma non sarà quella precipitazione lampo che aveva in mente.
NON ERA AFFATTO INIZIATA COSÌ, non per lui. Per tutto il giorno il vicepremier leghista provato a piegare il presidente Conte: la richiesta è quella di dimettersi. Il leghista non vuole tenere in mano il «cerino» della crisi, la responsabilità di un’avventura che la regia del Colle renderà ordinata, ma i cui esiti al momento non sono nelle mani di nessuno.
LA CRISI CI SARÀ, ma la mossa non gli è riuscita, come l’aveva immaginata. Sarà «parlamentarizzata», dunque la Lega dovrà votare formalmente no, davanti al parlamento e al paese, alla fiducia nei confronti di un premier che fino all’ultimo, fino alla vicenda del Tav, ha fatto esattamente quello che Salvini chiedeva. Il leader leghista ha il vento dei consensi in poppa, ma questo passaggio non sarà un pranzo di gala.
LA GIORNATA SI APRE con una nota ufficiale della Lega: «L’Italia ha bisogno di certezze e di scelte coraggiose e condivise, inutile andare avanti fra no, rinvii, blocchi e litigi quotidiani. Ogni giorno che passa è un giorno perso, per noi l’unica alternativa a questo governo è ridare la parola agli italiani con nuove elezioni».
Il tono è durissimo. Ma a via Bellerio si è reso necessario perché la mattina tutti i giornali raccontano la storia di un Carroccio muscolare e tonante – come il comizio di Salvini a Sabaudia, che recita nientemeno che le frasi di Mussolini scolpite nell’edificio della piazza – ma alla fine molto confuso sul da farsi dopo la rottura sostanziale andata in scena il giorno prima al senato sul Tav. Un Carroccio tendenza Prima Repubblica – per il governo gialloverde è l’insulto che le due forze si sono scambiate reciprocamente negli ultimi giorni – pronto ad accettare un rimpasto di governo. Un «rimpastino»: tre ministri nuovi per tirare a campare. Proposta accettata dai 5 stelle, ma che necessità di un passaggio alle camere.
LA LEGA CI RIPENSA. E i 5 stelle ora sono spiazzati dal nuovo cambio di posizione. Per una volta non è il loro ondeggiamento a far vibrare la maggioranza. La risposta pentastellata è altrettanto dura: «La nota della Lega è incomprensibile. Dicano chiaramente cosa vogliono fare. Siano chiari». I cronisti sono allerta. In mattinata il premier è a Palazzo Chigi. Anche Di Maio, che resta blindato nel suo ufficio e incontra i capigruppo D’Uva e Patuanelli. La crisi è un gioco di scacchi, Di Maio sa di aver già perso. Ma non aiuta il collega leghista a fare scacco. Conte, nel giorno del suo compleanno amaro – 55 anni ma più che una festa è un funerale, quello della sua carriera da premier – sale al Colle. Il colloquio, informale, dura meno di un’ora. Non crede ancora che Salvini andrà fino in fondo, crede la maggioranza strappata si possa ancora ricucire. Ma il filo del ragionamento è che, comunque, non si dimetterà se non dopo aver incassato la sfiducia delle camere. Lo aveva detto al senato il giorno dell’informativa sul caso Metropol: oggi suona come una profezia che si autoavvera. «Sarà la crisi più trasparente della storia della vita repubblicana», dirà a sera fonda.
CONTE TORNA a Palazzo Chigi: «Se vuole la crisi gliela faremo sudare e dovrà uscire allo scoperto», è quello che fa filtrare all’indirizzo di Salvini. Che, nel frattempo, sta facendo rotta su Palazzo Chigi dal Viminale. Un ministero che puntava a continuare a occupare durante la campagna elettorale. Ma ha sbagliato le mosse ed ora probabilmente non sarà così. È la rinuncia più grande.
IL COLLOQUIO fra Conte e Salvini dura un’ora e mezza. Il leghista accarezza l’idea di una crisi lampo e di una precipitazione rapida alle urne, Conte ingrana la modalità ralenti. Il discorso è quello concordato al Colle: niente crisi extraparlamentare, tutto si svolgerà secondo una tabella di marcia ordinatamente istituzionale. Al Colle nel pomeriggio è salito anche il presidente della Camera Fico, il messaggio è lo stesso. La collega del senato Casellati non è a Roma parla con Mattarella al telefono.
QUANDO SALVINI esce da Palazzo Chigi la scelta di aprire la crisi sembra inevitabile, anche se in serata, dal palco di Pescara, il leghista ha toni più sfumati. Per lui la scommessa è a rischio: non ne sarà il regista, né il «dominus», né il dj. Al voto non andrà con il vecchio centrodestra: «A questo punto diamo la parola agli italiani. Non lo dico per tornare al vecchio, non ho nostalgia del passato, se devo mettermi in gioco lo faccio da solo a testa alta. Potremo scegliere dei compagni di viaggio». Dall’altra parte Di Maio ha perso, adesso deve combattere la sua battaglia, l’ultima da capo M5S. Chiede di votare prima il taglio dei parlamentari, calendarizzata per metà settembre. Vorrebbe dire rallentare le urne per mesi.
MA DI MAIO dovrà fare i conti con l’ostilità a quel pasticcio di riforma anche da parte delle opposizioni. Il Pd fin qui non ha toccato palla, ma nella crisi potrebbe ritrovare un ruolo. Così Nicola Zingaretti parla ai 5 stelle ma forse anche a quella parte dei suoi che resiste al voto: «Dico a Di Maio: non ricominciate con i trucchetti per rimanere incollati alla poltrona. Se non c’è un governo, bisogna ridare la parola agli italiani subito».
* Fonte: Daniela Preziosi, IL MANIFESTO
photo: U.S. Army photo by Elizabeth Fraser / Arlington National Cemetery [Public domain]
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