Mare Jonio: ancora al largo di Lampedusa nella burrasca

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La Mare Jonio, con i suoi 22 bimbi salvati dal naufragio mercoledì, è arrivata ieri mattina all’alba a 13 miglia dalla costa sud di Lampedusa. In serata almeno i più piccoli e le donne sono sbarcati. Il giorno prima era arrivato via mail il divieto di ingresso nelle acque territoriali disposto dal ministro dell’Interno e cofirmato da Infrastrutture e Difesa. Alle 7 due ufficiali della Guardia di finanza hanno notificato il decreto di persona. I volontari di Mediterranea hanno consegnato un report medico chiedendo ancora il porto di sbarco: «Il salvataggio si conclude quando ognuno dei naufraghi è a terra, curato e assistito».

LA BATTAGLIA a colpi di norme e carta bollata è avvenuta con il mare in tempesta: «Il giorno sulla Mare Jonio è iniziato alle 5: pioggia in testa, lampi in cielo, le luci di Lampedusa in lontananza. “È l’Italia?” mi chiede un uomo prima di iniziare a pregare sulla coperta termica. Difficile spiegare che è l’Italia ma non ci fanno entrare», il racconto di Cecilia Strada da bordo. Dal Viminale, con il titolare più fuori che dentro, Salvini prosegue come fosse nel bunker prima della resa: «Come sempre – comunicavano le solite fonti – dalla Mare Jonio potranno scendere donne, bambini e malati. Rimane il divieto di ingresso per una nave che non rispetta le leggi e che preordinatamente provoca lo stato di necessità». Sono 98 i naufraghi sul ponte con il dissalatore rotto e, quindi, senz’acqua per i servizi igienici: 27 donne (5 incinte, una all’ottavo mese); 22 bimbi sotto i 10 anni, due neonati (con un inizio di bronchite), 13 non accompagnati.

NEPPURE IL MALTEMPO ha modificato la posizione ufficiale: «La Capitaneria di porto ci ha negato il rifugio sotto costa: “Riparate a nord, pennellate (andate avanti e indietro, ndr) fuori dalle 13 miglia”, ci hanno detto. Rimaniamo al largo, con le onde alte e i naufraghi che soffrono il mal di mare». Almeno donne, bambini e malati possono scendere: «Sono tutti profughi di guerra, hanno diritto a essere accolti», il commento di Alessandra Sciurba, portavoce di Mediterranea. Il trasbordo sulle motovedette della Guardia costiera è iniziato in condizioni difficilissime intorno alle 21, al buio e con il mare grosso: 6 sono scesi per motivi medici e poi le famiglie con i più piccoli e i minori non accompagnati. Alla fine toccano terra in 64: «Sulla nave restano una trentina di persone, una crudeltà inutile: 5 donne sole, uomini in condizioni precarie con stress post traumatico. Queste persone non possono, non devono aspettare che le loro condizioni si aggravino per essere autorizzati a scendere», commentano i volontari.

I REPORT MEDICI raccontano l’inferno da cui vengono. Donatella Albini, ginecologa di bordo: «Li abbiamo salvati da morte certa. Un bambino di 9 anni da quando è salito dorme e non mangia. Fuggono dai paesi d’origine, segnati da orrori se non dalla guerra». I due medici di bordo nel report scrivono: «Sette uomini hanno ferite infette alle estremità e alle natiche (segni di torture e ustioni chimiche). È un quadro di severa vulnerabilità psicologica in quanto le torture subite, quelle a cui si è assistito, insieme all’esposizione continuata al rischio di essere mutilati e uccisi, l’aver vissuto la precaria condizione di naufraghi per due giorni e l’aver assistito alla morte di 6 compagni di traversata sono fattori che costituiscono un Disturbo da stress acuto. Due adolescenti mostrano segni di catatonia con apatia e ritiro sociale. La permanenza a bordo è un fattore di aggravamento».

MENTRE I 98 soffrivano il mare, in 78 sono arrivati a Lampedusa su un bimotore: sono partiti lunedì dalla Libia. Anche tra loro donne e minori. Sulla Mare Jonio, invece, hanno dovuto aspettare: «A un bambino di 6 anni una sparatoria in Costa d’Avorio gli ha portato via due dita della mano. Ferite da coltello. Corrente elettrica. Bruciature. Acqua bollente. Botte con il calcio del kalashnikov. Queste le torture che raccontano gli uomini». E ancora: «Una ragazza di 29 anni, scappata da un matrimonio forzato, violentata in un lager libico; 18 anni, sola, incinta dopo uno stupro in Libia; 19 anni, sola, orfana, violentata in Libia; 15 anni, sola, picchiata in Libia; 31 anni, scappata dal marito che la picchiava, stuprata in Libia; 22 anni, una figlia, il marito è andato disperso nel deserto; 27 anni, abbandonata dal marito con un bimbo; 31 anni, vedova con i tre figli».

LA ELEONORE, dell’ong tedesca Lifeline, è ancora fuori dalle acque maltesi con 101 naufraghi. Arrivati al quarto giorno, non c’è porto di sbarco. «Il ponte non può essere pulito, il rischio di infezione aumenta quando le persone diventano sempre più deboli».

* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO



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