Migranti, ancora senza un approdo i 356 fantasmi della Ocean Viking
Con l’attenzione di tutti concentrata sul dramma della Open Arms, l’Italia e l’Europa sembrano quasi essersi dimenticate che al largo delle nostre coste c’è un’altra nave che ha chiesto inutilmente l’indicazione di un porto sicuro verso il quale dirigersi.
Come un fantasma, la Ocean Viking delle ong Sos Mediterranée e Medici senza frontiere naviga da undici giorni tra Linosa e Malta con 356 migranti strappati al mare in quattro salvataggi, tra i quali 103 minori e cinque donne. «Abbiamo cominciato a razionare l’acqua perché non sappiamo quanto a lungo potrà durare questa situazione», hanno spiegato nei giorni scorsi i volontari che si trovano a bordo. Qualcosa, però, forse comincia a muoversi. Ieri il ministro dell’Interno francese Christophe Castaner ha chiesto lo sbarco immediato dei migranti. «Sono persone vulnerabili» ha detto ricordando l’impegno assunto da Francia e Germania ad accogliere i richiedenti asilo.
Salvo novità frutto di capovolgimenti politici a Roma, l’Ocean Viking sembra però destinata a subire la stessa sorte della Open Arms. Malta ha negato un approdo alla nave, mentre l’Italia dei porti chiusi non ha neanche risposto alla analoga richiesta avanzata dalla francese Sos Med. Quella di restare ancora a lungo confinata in acque internazionali senza neanche potersi avvicinare alla costa in caso di maltempo, come è successo con la ong spagnola, è quindi qualcosa di più di una semplice possibilità e non manca di preoccupare l’equipe di Msf, attenta alle condizioni non solo fisiche ma anche psicologiche dei migranti. Come i naufraghi della Open Arms, anche quelli della Viking si chiedono infatti perché, dopo essere riusciti a fuggire dalla Libia, non possano finalmente sbarcare ora che la libertà sembra così vicina. «Sul gommone ero terrorizzato, ma la Libia è molto più pericolosa del nostro gommone sgonfio», ha confidato alla France Press Ibrahim, uno dei tre libici presenti sulla nave (gli altri migranti provengono da Sudan, Ciad, Eritrea, Senegal e Costa d’Avorio).
In undici giorni gli operatori di Msf hanno effettuato 130 visite e curato 63 ferite, anche da guerra provocate da schegge di granate. «Facciamo del nostro meglio, ma sappiamo che alcuni pazienti sarebbe meglio curarli a terra» spiega Luca Pigozzi, uno dei medici di Msf che si trova a bordo. «Queste persone hanno subito traumi importanti», prosegue. «In molti hanno subito torture o violenze sessuali in Libia. Oggi l’attesa dello sbarco, consumata in uno spazio confinato in mezzo al mare non può che peggiorare le loro condizioni».
Nei giorni scorsi si è tentato di dare uno sfogo al terrore che molti tengono ancora chiuso dentro di sé. Il ponte della nave si è così riempito di disegni nei quali i migranti hanno rappresentato i centri di detenzione libici nei quali sono stati richiusi, le violenze subite, il viaggio in mare. Storie come quella di Adam 19 anni, originario del Sud Sudan, imprigionato per quattro mesi a Bani Walid. «Non ci davano da mangiare, soltanto dell’acqua salata», ha raccontato ad Avra Fialas, responsabile della comunicazione di Sos Mediterranée a bordo della Viking. «Eravamo continuamente picchiati e torturati e i nostri parenti dovevano mandare dei soldi perché ci rilasciassero. Ogni giovedì dei trafficanti libici venivano e si prendevano delle donne per violentarle».
Particolarmente delicata, poi, la situazione dei bambini. «La maggior parte non ha mai vissuto in un luogo sicuro, non sa cosa voglia dire giocare senza correre alcun rischio – prosegue Pigozzi – Vivono nell’ansia e nell’incertezza, a volte abbiamo l’impressione che per loro questo stile di vita sia diventato normale, ma normale non è».
* Fonte: IL MANIFESTO
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