Per l’ISTAT, la crescita è zero. L’”anno bellissimo” è stato solo per Conte

Per l’ISTAT, la crescita è zero. L’”anno bellissimo” è stato solo per Conte

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La profezia del presidente del Consiglio incaricato di comporre un nuovo governo giallo-tricolore (Cinque Stelle+Pd) potrebbe sempre incarnarsi nella “ripresa incredibile” annunciata nel febbraio scorso

L’anno è stato «bellissimo» per la carriera del neo-incaricato presidente del Consiglio Giuseppe Conte. La profezia formulata a febbraio, il celebre brocardo di una carriera fulminante nel ruolo di «Elevato», non coincide con il ritmo del prodotto interno lordo a cui era stata inizialmente agganciata. In attesa dei dati del secondo semestre dell’anno, quando per Conte il Pil dovrebbe schizzare producendo una «ripresa incredibile», i dati dell’economia reale sul secondo trimestre 2019 comunicati ieri dall’Istat non sembrano coincidere con il suo vaticinio. La crescita da aprile a giugno è stata zero. Nel confronto con lo stesso periodo del 2018 gli indicatori sono girati al peggio. Da stazionario l’indice si è posizionato appena sotto lo zero (-0,1%). C’è tempo per rimettere la testa fuori dall’acqua. Se non arriverà la prima onda della recessione annunciata per il 2020, il Pil dovrebbe restare sopra la superficie di annegamento.

La stagnazione è stata certificata da tempo dall’istituto nazionale statistico per un paese che negli ultimi quindici mesi ha registrato una delle più rumorose cadute mai viste tra le stime avventurose formulate da un governo. Quello gialloverde presieduto dallo stesso Conte. Era partito da un Pil robusto, poco più o poco meno dell’1,2%, per ritrovarsi oggi a zero. Se si riuscirà a comporre il Conte Due è auspicabile che la maggioranza giallo-tricolore opposta quella precedente persuada il presidente del Consiglio a soffermarsi su altri, e più positivi, destini rispetto a quelli riservati all’economia nazionale. Forse riuscirebbe a respirare, se non fosse assediata da profezie che realizzano il contrario rispetto a quanto hanno annunciato. I nuovi, promessi, alleati potrebbero incrociare le dita sotto i tavoli dove si svolgono le consultazioni. Aiuta, in certi casi.

È quello che deve avere fatto ieri il segretario del Pd Nicola Zingaretti che, mettendo da parte lo sdoppiamento di personalità generalizzato nella politica italiana, ha riconosciuto i «dati negativi» e ha chiesto al governo entrante «una svolta». Anche l’ex premier Matteo Renzi, levatore del Conte Due, si è ispirato ai dati Istat e ha affidato il suo messaggio alla nazione a twitter: «L’Italia populista lascia con il Pil negativo». Con una parte di quel populismo, un blob che si adatta a tutte le circostanze, il suo partito sta cercando di fare un’alleanza. Resta da capire se la direzione della caduta cambierà a causa di un cambio di colori della squadra del cuore.

Se la responsabilità del Conte Uno è stata quella di non avere capito il crollo in arrivo, e di averlo poi negato ricorrendo alle categorie estetiche del bello, quella del Conte due potrebbe essere più gravosa: trovare i fondi per bloccare l’aumento dell’Iva, da tutti usato come motivo per «fare presto» il governo, ipotesi non impossibile, ma poi restare a secco nella recessione. Si spera nella «flessibilità» auspicata dalla Commissione Ursula Von Der Leyen nel cui perimetro dovrebbe insediarsi il nuovo esecutivo. Sempre che basti.

A scorrere gli altri dati sull’occupazione pubblicati ieri dall’Istat i segnali si moltiplicano. Dopo l’avvertimento dell’Inps di due giorni fa è arrivata la conferma che la tiepida crescita occupazionale ha iniziato a bloccarsi. A dispetto dei Cinque Stelle e del loro Di Maio che, tra un ultimatum e l’altro, continua a fare girare il disco che canta i meriti del suo «Decreto dignità». Una modesta manutenzione del Jobs Act – nessuno è interessato a cambiarlo? ha domandato ieri il segretario della Cgil Maurizio Landini – spacciata come la rivoluzione. I Cinque Stelle hanno un problema con l’autostima. Non riescono a capire quando è troppo poca.

Basterebbe iniziare a leggere i dati. A luglio 2019 il numero degli occupati è diminuito di 18mila unità. È il primo calo dopo cinque mesi di crescita consecutiva. È avvenuto prima dell’inizio della stagione estiva quando di solito i precari e gli stagionali ingrossano le statistiche. Segnale da valutare. Sono diminuiti lavoratori dipendenti, permanenti e a termine, mentre sono aumentati gli indipendenti. A luglio sono cresciuti i disoccupati (9,9%), pari a 2 milioni e 566 mila persone. Su base trimestrale si continua tuttavia a registrare una crescita pari a 101mila unità, mentre su base annua è di 193mila. La crescita riguarda gli over 50 e rispecchia un assetto del mercato del lavoro che l’occasionale «quota 100» non cambierà.

Restiamo in attesa della revisione del Pil annuo che l’Istat ha in programma il 23 settembre. La profezia di Conte potrebbe sempre avverarsi.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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