Europeisti a oltranza. Gentiloni commissario, malumori dei 5 Stelle

by Daniela Preziosi * | 6 Settembre 2019 9:32

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L’ultimo tassello, per ora, del governo modello “Ursula” – fascinoso nome della presidente della commissione europea van der Leyen la cui elezione viene considerata il concepimento del Conte bis – arriva dal primo consiglio dei ministri. Ma l’indicazione di Paolo Gentiloni a commissario europeo a quel tavolo è scontata. Faceva parte dell’accordo stretto fra Conte e Zingaretti sul pacchetto di governo. Il segretario Pd era stato fermo, più che su altri punti. Del resto il presidente reincaricato non aveva da rilanciare nomi seriamente paragonabili. E un commissario così è una garanzia per i rapporti amichevoli, anzi più che amichevoli, fra Commissione e governo italiano.

LA SCELTA CONCLUDE il giro a 180 gradi delle posizioni grilline sull’Unione. Da euroscettici aspiranti alleati di Farage a europeisti convinti. Grazie al Pd, e al profilo di Gentiloni, l’Italia potrà aggiudicarsi persino la delega agli affari economici, quella oggi affidata al francese Pierre Moscovici, falco socialista che nel corso degli anni si è progressivamente ammorbidito, in particolare nei confronti dell’Italia. Quel Moscovici che ha tenuto a battesimo la candidatura alle Europee di Roberto Gualtieri, e che ora si complimenta per la nomina del suo amico a ministro dell’Economia, in un governo che in venti giorni è passato dall’essere la punta di diamante del sovranismo antieuropeo ad amabile interprete delle compatibilità dell’Unione, almeno fin qui.

Van der Leyen deci derà martedì. Ma non a caso la nomina di Gentiloni, come il giorno prima quella di Gualtieri, raccoglie la soddisfazione delle cancellerie europee. Del resto oggi che della flessibilità dovrà far richiesta anche la Germania, non è un paradosso che l’Italia da sorvegliata speciale possa diventare nientemeno che controllore.

MA L’APPREZZAMENTO di Gentiloni è quasi generale. Più che da una vera connotazione di altereuropeista, deriva dallo stile composto con cui l’uomo è passato attraverso molte stagioni politiche (da maoista a ambientalista, vanta anche una militanza nel pacifismo della rivista Pace e Guerra nell’area manifestina, infine l’approdo alla Margherita di Rutelli e poi al Pd). La simpatia da sinistra si consolida nel 2016 quando, da ministro degli esteri per volontà di Napolitano, diventa il premier post referendum che traghetta la legislatura fuori dal renzismo, attenuandone le guasconate per lo più fallimentari.

Oggi arrivano infatti i complimenti della Cgil. E quelli di Leu. Il presidente dei deputati Fornaro calca i toni: «Con lui si può aprire una nuova fase per l’Ue, che privilegi la crescita e la lotta alle disuguaglianze e abbandoni il pensiero unico dell’austerità. La prima mossa del nuovo governo segna proprio un nuovo e positivo inizio». Anche il Pd si riunifica – temporaneamente – sul nome di Gentiloni. Dall’orgoglio di Nicola Zingaretti, al «daje» twittato da Carlo Calenda, al «grazie» di Enrico Letta. All’«ottima scelta» di Matteo Renzi, che pure ormai con il suo successore a Palazzo Chigi ha scavato distanze anche personali.

Era solo il 23 agosto scorso, cioè dieci giorni fa, quando lo aveva accusato dalla sua scuola di formazione politica di voler sabotare l’accordo con i 5 stelle – «Offensivo e ridicolo», aveva risposto Zingaretti. Acqua passata? Probabilmente sì. Ieri il segretario ha trascorso la giornata al Nazareno a lavorare all’elenco dei prossimi sottosegretari. Sottosegretarie, per la precisione: sette donne su 21 ministri non sono abbastanza, dal Nazareno partirà un elenco zeppo di donne: Debora Serracchiani, Anna Ascani, Marina Sereni, Lia Quartapelle, Silvia Velo, Michela Rostan, Rossella Muroni, Lorenza Bonaccorsi .

A CRITICARE LA NOMINA di Gentiloni sono quasi solo gli avversari. Il più imbufalito ovviamente è Matteo Salvini: «Ricordate Di Maio, Grillo, la rivoluzione? Sono passati dai “gilet gialli” a Gentiloni», «Il massimo del sistema di potere, dei salotti, dei poteri forti». L’argomento ha un suo fascino per chi è stato alleato della Lega fino a meno di un mese fa. E non si tratta solo dei dissidenti come il giornalista senatore Gianluigi Paragone che attacca «i custodi delle liturgie europeiste» ma anche di quelli più vicini a Di Maio come l’europarlamentare Dino Giarrusso: «Nel metodo si poteva fare meglio».

A Bruxelles in realtà il malumore si sente. «Stiamo consegnando l’Italia al Pd in Europa. Non riconosco più il mio movimento», attacca Nicola Pedicini. Anche a Roma le cose non vanno benissimo: «Spero sia il primo dei pochi errori di questo governo», avverte il deputato Andrea Colletti.

* Fonte: Daniela Preziosi, IL MANIFESTO[1]

photo: Di Governo Italiano (Note legali) – Prima pagina del portale www.governo.it, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=54038627

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