Migranti. Non basta ritoccare il decreto sicurezza-bis

Migranti. Non basta ritoccare il decreto sicurezza-bis

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L’immigrazione è un tema che il nuovo governo giallo-rosso non potrà mettere da parte, né tanto meno ridurre a questioni amministrative, come la modifica del trattato di Dublino o la distribuzione delle persone nei paesi europei.

Il tema è eminentemente politico. Non è un caso che abbia contribuito ad aprire un’incrinatura nell’ultimo governo. Ma è anche una ferita aperta nella sinistra. Proprio per questo va del tutto ripensato.

IL FENOMENO è epocale, perché è legato strettamente alla globalizzazione, al venir meno della sovranità dello Stato-nazione, alla povertà e alla fame nei sobborghi planetari, alla fuga dei capitali, alle catastrofi ecologiche, ai numerosi conflitti che alimentano l’intermittente guerra civile globale. Sbaglia chi pretende di ridimensionarlo o di compararlo a quello di altri periodi storici.

Non si può, dunque, affrontare questo tema in una prospettiva nazionale (che presto diventa nazionalistica), com’è avvenuto in Italia, dove hanno prevalso gli slogan e dove un’inquietante linguaggio discriminatorio ha fatto breccia ovunque. Non è difficile ormai imbattersi in politici che, oltre a parlare di «clandestini», rimproverano a Salvini di non aver provveduto al numero di «rimpatri» che aveva promesso. Come se questo fosse il risultato auspicato!

SI DEVE DIRE che, nel contesto europeo, l’Italia rappresenta un caso a sé, perché in pochissimo tempo, tra la metà degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, da paese di emigrazione è diventato paese di immigrazione. Non c’erano allora leggi che considerassero la presenza di stranieri sul territorio. La politica ha preferito abdicare. Così, per anni e per decenni, fino ad oggi, ha prevalso il «diritto di polizia». Non solo nella legislazione, ma anche nell’atteggiamento verso gli immigrati.

OGNI straniero era un «clandestino», un sospetto da tenere sotto sorveglianza, da affidare alla disciplina delle forze dell’ordine. Questo è il filo che collega l’immagine degli albanesi ammassati come bestie nello Stadio Vittoria di Bari, nel 1991, a quella dei bambini trasbordati in piena notte dalla Mare Jonio.

In uno stato d’emergenza permanente, misure eccezionali sono diventate ordinarie. L’arbitrio poliziesco ha regnato sovrano in una escalation che l’ipocrisia ha tentato, non senza successo, di coprire. La protezione umanitaria è diventata pretesto per la detenzione amministrativa. Dalla prima legge Martelli del 1990, passando per la Turco-Napolitano, alla Bossi-Fini del 2002, si è voluto far credere che fosse normale «internare» gli immigrati solo perché immigrati, che fosse ovvio privarli di ogni diritto, in una zoologizzazione razzistica crescente, che fosse infine scontata la cosiddetta «guerra contro l’immigrazione».

TUTTO QUELLO che è avvenuto in seguito, anche negli ultimi anni, prima con l’esternalizzazione dei campi in Libia, avallata dal governo di centro-sinistra, poi con i due decreti emessi da Salvini, si spiega a partire da questo impianto poliziesco. Il tema dell’immigrazione è stato legato sempre più a quello della sicurezza, un salto nell’incongruenza che l’opinione pubblica ha compiuto senza scrupoli grazie a un’oculata e continua amministrazione di fobie dell’esterno e dell’estraneo.

Tanto più che gli italiani si vedono volentieri come vittime e faticano a riconoscersi come carnefici, sia nel passato sia nel presente – dal fascismo al patto con la Libia. In assenza di ogni seria politica dell’accoglienza, che in Italia semplicemente non c’è, il tema dei migranti è stato relegato all’impegno etico o affidato alla carità religiosa. Di qui l’accusa di «buonismo». Ma l’accoglienza è un tema politico e come tale deve essere all’ordine del giorno.

Si apre così un grave problema anche per la sinistra che per un verso ha creduto di doversi dibattere tra umanità e sicurezza, per l’altro ha assecondato l’argomento utilitaristico (fateli entrare perché ci servono). Queste letture sono subalterne alla xenofobia di Stato e allo sciovinismo neoliberista. Non si vuole vedere il dispositivo economico dell’immigrazione che in tutti questi anni ha funzionato attraendo e respingendo insieme: aprendo le porte alla forza-lavoro che serviva, chiudendole per neutralizzare e sfruttare meglio i «flussi».

COSÌ SUL CORPO dei migranti si sono sommate discriminazione di «razza» e di «classe». Poco si è fatto per l’alleanza tra lavoratori e migranti.
Non basta ridimensionare il decreto sicurezza bis. Occorre ripensare il tema della migrazione in tutta la sua complessità, evitando tentazioni sovraniste, che hanno purtroppo serpeggiato anche a sinistra, e alzando lo sguardo allo scenario globale per stringere alleanze oltre le frontiere.

* Fonte: Donatella Di Cesare, IL MANIFESTO



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