by Roberto Ciccarelli * | 1 Ottobre 2019 8:53
Ventitré miliardi per bloccare l’Iva sono stati trovati quest’annonella nota di aggiornamento al Documento di Economia e finanza (Def). I ventotto necessari per farlo anche l’anno prossimo non ancora. Tempo al tempo. Ieri i giallo-rossi hanno annunciato il miracolo dopo giorni di scontri intestini dove è sembrato che fosse in gioco un aumento dell’Iva da 5-7 miliardi di euro. Non era così. Dopo giorni di fibrillazioni il presidente del Consiglio Conte ha fermato le macchine. Da «avvocato degli italiani», o «mediatore», ieri Conte si è presentato nella parte del «riformatore degli italiani». La transitività del complemento partitivo lascia intendere che gli italiani possono essere oggetti di una riforma, non solo beneficiari. Il dubbio biopolitico è emerso nei giorni in cui il ministro dell’istruzione Fioramonti ha chiesto di tassare merendine e voli per finanziare scuola e università. Non se ne farà nulla, ha confermato il premier riformatore che si era detto favorevole. Poi si è fatta sentire l’opposizione interna ai Cinque Stelle, quella di Luigi Di Maio. E anche lui ha fatto marcia indietro. Niente tasse di scopo. In compenso si è impegnato a «promuovere la dieta mediterranea».
ALL’ISTRUZIONE saranno risparmiati «tagli». Per i tre miliardi di rifinanziamento chiesti da Fioramonti, senza i quali ha detto che si dimetterà a dicembre, si dovranno aspettare settimane, il tempo per elaborare le misure sfuggenti di una manovra che comprenderà 23 disegni di legge collegati tra cui quello sull’autonomia differenziata, il «Green new deal», il taglio al cuneo fiscale, la revisione del superticket nella sanità. Ci sarà un decreto fiscale dove troverà spazio il monopoli delle percentuali dell’Iva. Il governo vuole abbassare l’imposta per latte, pane e frutta che passerebbe all’1%. Per le bollette ci sarebbe un calo dal 10 al 5 per cento. Sul tavolo da gioco ci sono le ipotesi più fantasiose di rimodulazione e moltiplicazione delle aliquote tra il 22%, il 10% e il 4%.
DAL LANCIO DEI DADI ieri è uscita una nuova combinazione: il «bonus Befana». È uno degli effetti della battaglia contro chi usa il contante, soprattutto gli esercenti, e non la moneta elettronica. Chi spenderà almeno duemila euro l’anno con carte di credito e bancomat, per beni a rischio evasione fiscale in settori come la ristorazione o piccoli lavori di manutenzione in casa, otterrà un rimborso del 10 per cento una tantum a inizio gennaio. Per rimpinguare il bonus della Befana il consumatore potrà spendere di più. Si chiama effetto «cashback», cioè «contanti indietro»: uno sconto di 2-3 punti di Iva che verrebbero riaccreditati sulla carta a ogni «strisciata» per i pagamenti nei settori individuati dal governo. Il tetto non dovrebbe superare 500 euro per una spesa pari a 2500 euro. L’utente si iscrive su un sito, come Bestshopping, o Lyones, dove sono messi in vetrina i marchi e le piattaforme che garantiscono il rimborso. Il denaro è restituito tramite bonifico o accredito sul conto Paypal.
CON L’AUTUNNO, insieme alle foglie, in Italia cadono gli anglismi. Il «cashback» si contenderà il primato con l’indimenticata «voluntary disclosure», uno scontro agli evasori che riportavano i capitali in Italia. In questo caso saranno le piattaforme digitali di intermediazione a guadagnare una percentuale tra il 5% al 10% sull’acquisto. È il costo della lotta all’evasione. Sempre che esista un collegamento diretto tra il contante in circolazione e i mancati incassi Iva. L’equazione su cui scommette il governo non è scontata. L’uso del contante è legato ad attività illecite ignote al fisco e non riconoscibili dalla diffusione dei pagamenti elettronici.
LA MANOVRA, da circa 29 miliardi di euro, sarà per metà coperta da 14,5 miliardi di flessibilità dalla Commissione Ue, il resto con tagli, aumenti di entrata e un recupero dall’evasione pari allo 0,4 % del Pil: 7 miliardi. Per il 2019 è prevista una crescita allo 0,1% (0,6% nel 2020), deficit al 2,2% nel 2020, debito in calo al 134,1% (135,2% nel 2019). Nelle cifre rientra il taglio al cuneo fiscale per i lavoratori pari a 2,5 miliardi nel 2020 e a 5,4 nel 2021. Previsto inoltre un taglio dei sussidi ambientalmente dannosi e nuove imposte pari a 1,8 miliardi. Alla legge di bilancio sarà inoltre affiancato un «piano per il sud» ha aggiunto il ministro per la coesione sociale Peppe Provenzano.
COME OGNI DEF, aggiornato, anche questo guarda il futuro dei prossimi tre anni. Prospetta un potenziamento degli investimenti pubblici in due fondi da 50 miliardi. Risorse che andranno alla «rigenerazione urbana, riconversione energetico, incentivi all’uso di fonti rinnovabili». «Ridurranno il gap tra Sud e Nord» ha scritto il ministro Gualtieri nell’introduzione del documento. È l’investimento pubblico in un’ottica triennale con un fondo «alla tedesca» dedicato alla «transizione verso la sostenibilità» «scorporato dal computo del debito europeo». Dovrebbe essere la base del «Green New Deal» contro l’emergenza climatica. «Ora c’è l’opportunità di un vero rilancio» ha scritto Gualtieri. Il Def è il momento dell’ottimismo della ragione. «Sono fiducioso in un dialogo costruttivo con l’Ue» ha aggiunto. Di solito, quando le previsioni economiche peggiorano, la manovra è quello del pessimismo della volontà.
* Fonte:Roberto Ciccarelli, il manifesto[1]
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