Carola Rackete a Bruxelles accusa l’Europa per la criminalizzazione delle ONG

by Roberto Ciccarelli * | 4 Ottobre 2019 9:16

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Nel quinto anniversario della strage di Lampedusa la capitana della Sea Watch 3 Carola Rackete ha parlato davanti alla commissione per le libertà civili del parlamento europeo. I deputati le hanno tributato un’ovazione, segno di riconoscimento politico della decisione di portare in salvo i 53 migranti sequestrati a bordo della nave, nonostante l’opposizione dell’allora ministro dell’Interno Salvini in violazione delle leggi fondamentali della costituzione del mare. La destra ha schiumato di rabbia, come se non avesse mai ancora superato quella che è stato un clamoroso smacco politico alla sua strategia. Salvini è tornato a scuotere i suoi social declinanti chiedendo su twitter di mettere la capitana «in galera». E ha denunciato un ipotetico affronto del parlamento europeo contro la sua «sovranità» di ex potente.

Quello che ha colpito, sia nell’intervento in commissione, che nel successivo incontro con la stampa, è che Carola ha sempre evitato di personalizzare lo scontro con Salvini e l’Italia. Un saggio di questa intelligente capacità è stata data in una recente, ed esemplare, intervista televisiva dove il giornalista ha cercato più volte di farla cadere nel tranello.
Il suo stile netto ed essenziale, in cui si può riconoscere una generazione e più di attivisti politici in tutta Europa, mira alla sostanza dello scontro politico, non alle maschere che lo interpretano nella farsa dello storytelling. «Le politiche dell’immigrazione non dipendono solo dall’Italia, ma dall’Unione Europea che è corresponsabile» ha detto Rackete. Più che chiara è la sua posizione sulla Libia, il paese da dove oggi si fugge. E dove migliaia di persone sono tenute prigioniere in lager, coperti politicamente da accordi siglati dal nostro paese. Definitive inoltre le parole sui 53 sequestrati a bordo della Sea Watch: trattenuti «come se fossero la peste e non delle persone esauste».

In Italia, per il caso simile della Diciotti, la magistratura ha chiesto al parlamento di processare Salvini per sequestro di persona. Richiesta respinta dal parlamento, e dai Cinque Stelle che allora graziarono il loro «alleato». L’attuale presidente del Consiglio Conte si spese per riconoscere le ragioni dell’allora suo ministro. Questa è la verità politica che ha reso ancora ieri l’azione, e la testimonianza, di Rackete libera e forte.

Così come forti sono state le parole da lei rivolte agli stessi deputati che l’hanno applaudita: «Dove eravate quando abbiamo chiesto aiuto attraverso tutti i canali diplomatici e ufficiali? – ha domandato – L’unica risposta ricevuta era stata quella di Tripoli dove non potevo andare. Sono dovuta entrare nel porto di Lampedusa non come atto di provocazione, come sostiene qualcuno, ma per motivi di esigenza. Non potevo più assumermi la responsabilità delle persone a bordo».

Il caso personale è diventato l’occasione per una riflessione politica complessiva. Salvini ha estremizzato l’orientamento di fondo condiviso da tutti i governi europei, anche di segno diverso. Rackete ha citato la Spagna «socialista», ad esempio, che commina multe salatissime alle Ong proprio come fa il «decreto sicurezza bis» del leghista. «E’ una vergogna notare questo atteggiamento dall’Ue, la culla dei diritti umani» ha commentato, criticando l’infelice trovata della presidente della Commissione Ue Ursula Von Der Leyen che ha creato la competenza della «protezione dello stile di vita europeo» per uno dei suoi commissari. Se è «culla dei diritti» questa Europa dovrebbe smetterla invece di «criminalizzare» le Ong e, in generale, dell’idea di solidarietà. Rackete ha ricordato che la intende nell’ottica molto ampia di attivista ecologista. La sua attività iniziata nel 2011 quando guidava un rompighiaccio al Polo Nord per un Istituto di ricerca tedesco. Per lei la solidarietà è una politica che coinvolge gli umani e il loro pianeta.

«Io non ho salvato rifugiati – ha aggiunto Rackete – Io ho salvato essere umani». L’obiettivo di Rackete e dei suoi compagni, invitati a Bruxelles dai Verdi e dalla Gue, è chiedere una vera riforma del trattato di Dublino e i corridoi umanitari, oltre che una riforma delle politiche securitarie. In terra e in mare.

* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto[1]

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