Lampedusa. La strage che sconvolse l’Europa, ma solo per un po’

by Leo Lancari * | 2 Ottobre 2019 8:58

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Le immagini delle bare allineate all’interno dell’hangar, con le quattro più piccole e bianche posizionate davanti a tutte, hanno fatto il giro del mondo e resteranno tra quelle destinate a diventare uno dei simboli dei tanti drammi dell’immigrazione. Furono 368 le vittime del naufragio avvenuto il 3 ottobre 2013 davanti Lampedusa, la tragedia che, almeno per qualche tempo, riuscì a cambiare le politiche europee sull’immigrazione. Dopo quel dramma, infatti, il governo italiano, allora premier era Enrico Letta, diede il via all’operazione Mare nostrum che in 12 mesi di attività riuscì a salvare più di 160 mila uomini, donne e bambini. Grazie a quella missione «l’Italia ha salvato l’onore dell’Europa», dirà anni dopo il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, quando ancora la politica dei porti chiusi era presente solo nei peggiori incubi.

Non sono ancora le cinque del mattino quando il barcone con a bordo tra i 500 e i 550 migranti partiti il primo ottobre dal porto libico di Misurata, si avvicina finalmente alle coste italiane. Solo mezzo miglio separa l’imbarcazione, un vecchio peschereccio lungo venti metri, dall’isola dei Conigli. Non più di due chilometri dal porto di Lampedusa. In quei giorni l’isola è ancora piena di turisti che si godono la coda dell’estate, gli alberghi sono pieni, gli ombrelloni degli stabilimenti tutti occupati. Condizioni meteorologiche favorevoli alla partenze dei migranti, tanto che quella stessa notte la Guardia costiera era intervenuta in soccorso di altri due barconi con 460 persone a bordo. Nessuno quindi, probabilmente, si aspettava che una terza imbarcazione fosse in arrivo.

Secondo le testimonianze dei sopravvissuti uno degli scafisti avrebbe acceso uno straccio per attirare l’attenzione dei soccorritori, provocando così un incendio. Presi dal panico, i migranti si sarebbero spostati tutti sullo stesso lato del peschereccio provocandone il rovesciamento. A centinaia caddero in acqua, molti dei quali affogarono subito, ma furono tantissimi quelli che rimasero prigionieri sullo scafo.

I primi ad accorgersi di quanto stava accadendo furono alcuni pescatori che intervennero subito, ma i tentativi di salvataggio furono resi più difficili della nafta che si era mischiata all’acqua. «Mi sono salvato aggrappandomi ai corpi senza vita dei miei compagni di viaggio che galleggiavano accanto a me», racconterà anni dopo uno dei sopravvissuti, Eskindr, un giovane eritreo diciottenne all’epoca della tragedia. «Sono rimasto in acqua quattro ore, ho aiutato altra gente a restare a galla e a salvarsi durate quel tempo».

Quella di Lampedusa fu sopratutto una strage di eritrei. Delle 368 vittime, 360 fuggivano infatti dall’Eritrea, mentre le restanti otto provenivano dall’Etiopia. 155 furono invece le persone tratte in salvo, tra cui 41 minori. Per quella strage il 13 febbraio 2015 un somalo indicato dai sopravvissuti come uno degli scafisti, è stato condannato a 30 anni di carcere per tratta di esseri umani, associazione per delinquere e violenza sessuale. Sentenza confermata il 15 aprile 2016 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo.

Grazie al Comitato 3 ottobre, nato immediatamente dopo la tragedia, il 16 marzo del 2016 il Senato ha invece approvato in via definitiva l’istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione che si celebra ogni anno a Lampedusa il giorno del naufragio. L’anno scorso nessun esponente del governo gialloverde partecipò alle cerimonie. Ma va detto che neanche il nome di un esponente del nuovo governo giallorosso appare finora nel programma delle manifestazioni di quest’anno.

* Fonte: Leo Lancari, il manifesto[1]

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