Lo stop alle armi italiane per la Turchia vale solo per il futuro

Lo stop alle armi italiane per la Turchia vale solo per il futuro

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Il ministro dello sport si rivolge al presidente Uefa: spostare la finale di Champions prevista a Istanbul

Niente embargo europeo e neanche niente embargo italiano immediato sulle armi alla Turchia. L’Italia adotterà, ha annunciato ieri il ministro degli esteri Luigi Di Maio proprio da Lussemburgo dove ha partecipato al Consiglio affari esteri della Ue, un decreto ministeriale per interrompere «l’export di armamenti verso la Turchia per tutto quello che riguarda il futuro dei prossimi contratti e dei prossimi impegni». Per il 2018 – si legge nella relazione consegnata dal governo Conte uno al parlamento «sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento» – l’Italia ha esportato armi in Turchia per 362,3 milioni (e il terzo partner dopo Qatar e Pakistan), un business che negli ultimi sei anni è cresciuto 32 volte.

«L’Italia in Europa è capofila per una decisione forte», ha assicurato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (parlando da Avellino). In realtà la decisione annunciata ieri da Di Maio per i prossimi giorni è già stata presa da Finlandia, Norvegia, Paesi Bassi, Germania e Francia. Il ministro degli esteri ha spiegato che non occorre coinvolgere il parlamento nella decisione, perché «per le nostre regole si tratta di un decreto ministeriale, come quello che abbiamo firmato sui rimpatri» – in questo caso a firmarlo con lui dovrebbe essere il ministro della difesa Lorenzo Guerini. Di Maio sarà comunque questa mattina alle dieci in aula alla camera per un’informativa urgente sull’aggressione Turca in Rojava.

Secondo Di Maio «era importante che tutta l’Europa assumesse la stessa posizione, ma abbiamo lasciato ai singoli stati l’impegno di farlo perché questo crea immediatezza. Fa si che non si debba fare un embargo europeo che poi porta a mesi e mesi di lavoro che avrebbero vanificato l’immediatezza dell’intervento». L’alta rappresentante della Ue per gli affari esteri, Federica Mogherini, ha fornito in realtà una spiegazione diversa del perché il Consiglio ha lasciato la decisione agli stati membri: «Non vogliamo che gli stati membri, che sono anche alleati Nato, si trovino in una posizione giuridicamente complicata quando si tratta di attuare un embargo formale Ue sull’export di armi verso la Turchia». Che fa parte dell’alleanza atlantica con il secondo esercito più grande, dopo quello Usa.

Un’interpretazione più rigorosa della buona legge italiana sul controllo all’esportazione delle armi – la 185 del 1990 – potrebbe probabilmente consentire anche uno stop immediato alle forniture in corso verso la Turchia. In ogni caso gli arsenali di Erdogan sono più che pieni, tanto che l’ambasciatore turco presso le Nazioni unite, Sadik Arslan, ieri ha definito «uno scherzo» lo stop ai nuovi contratti deciso da alcuni paesi Ue: «La nostra industria della difesa ha fatto progressi considerevoli nella riduzione della dipendenza da paesi stranieri». La Germania, che ha deciso lo stop, è il secondo paese fornitore di armi alla Turchia, dopo gli Usa e prima della Corea del Sud. Mentre cresce il peso delle forniture della Russia che recentemente ha fornito il sistema di difesa missilistico S-400 dopo la decisione di Obama di negare i missili Patriot ad Ankara. D’altra parte un pezzo importante di produzione bellica Erdogan lo ha in casa, letteralmente visto che i droni Bayraktar Tb2 sono prodotti dalla società fondata dal padre di Selcuk Bayraktar, marito della figlia minore del presidente turco.

Sul fronte diplomatico, intanto si segnala l’iniziativa del ministro italiano dello sport, Vincenzo Spadafora, che ha scritto una lettera al presidente dell’Uefa Alexander Ceferinper chiedere di trasferire la sede della finale di Champions League, in calendario a Istanbul il 30 maggio 2020 in ragione «dei gravissimi atti contro la popolazione civile curda e dell’intervento con il quale l’unione europea condanna l’azione militare della Turchia».

* Fonte: il manifesto



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