Ricambio a Cuba, Díaz-Canel presidente. È la «modernizzazione»

by Roberto Livi * | 10 Ottobre 2019 11:18

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NEL SUO DISCORSO DI ADDIO alla presidenza (del Consiglio di Stato e dei ministri) il 19 aprile dello scorso anno, Raúl Castro aveva indicato l’ingegnere elettronico come il dirigente scelto dal Partito comunista per sostituirlo e per rappresentare la continuità della Rivoluzione (castrista) nei prossimi anni. Dove, forse, potranno aversi modifiche dell’attuale assetto del vertice politico sarà nelle altre cariche che verranno elette oggi: vicepresidente della Repubblica, presidente e vicepresidente e segretario dell’Assemblea nazionale, i quali saranno anche presidente, vicepresidente e segretario del nuovo Consiglio di Stato (ridotto a 21 membri dagli attuali 31). Il presidente della Repubblica dovrà poi nominare il prossimo mese i ministri del nuovo governo, compreso il primo ministro – carica anche questa che era stata soppressa dalla Costituzione del 1976.

QUESTE ELEZIONI dunque potranno essere l’occasione per valutare i nuovi equilibri venutisi a creare, nel vertice politico e statale, dopo il ritiro di Raúl Castro. Il fratello di Fidel è però rimasto primo segretario del Pcc e continua a influenzare un processo di rinnovamento generazionale che però risente di pesi e contrappesi esistenti dietro la proiezione pubblica – omogenea e monolitica – di tutto l’apparato statale cubano.

Si suppone che, data l’età e lo stato di salute, gli attuali primo vicepresidente – Salvador Valdés Mesa – e il presidente dell’Assemblea nazionale – Esteban Lazo – potranno essere sostituiti da personaggi più giovani e in sintonia (non solo generazionale) con Díaz-Canel, come il segretario del Consiglio di Stato Homero Acosta. Un anticipo di questa tendenza al ricambio generazionale è avvenuto di recente con la nomina di Jorge Luis Tapia Fonseca come vicepresidente del Consiglio dei ministri in sostituzione dello “storico” generale Ulises Rosales del Toro.

Di fatto comunque è iniziato il processo di cambiamento del profilo dello Stato cubano. Da domani Cuba tornerà ad avere un presidente della Repubblica, ovvero un personaggio politico che potrà prendere decisioni senza dover passare per l’approvazione – anche se formale come oggi – del Consiglio di Stato e potrà emettere decreti presidenziali. E si potrà dunque valutare la caratura della linea riformatrice – “modernizzatrice” secondo la versione ufficiale – con l’obiettivo di costruire un «socialismo prospero e sostenibile».

QUESTO CAMBIAMENTO di profilo avviene in uno dei periodi più delicati e potenzialmente pericolosi degli ultimi anni. Il presidente Donald Trump e la sua amministrazione legata agli anticastristi della Florida stanno attuando da mesi una politica di strangolamento dell’economia cubana (e di quella venezuelana). The Donald ha tra l’altro attivato il terzo capitolo della legge Helms-Burton – la struttura legale del sessantennale blocco economico-commerciale e finanziario unilaterale contro Cuba – per colpire gli investimenti esteri nell’isola. Inoltre ha di fatto istituito una sorta di blocco navale per impedire il rifornimento di greggio venezuelano a Cuba. Con effetti pesantissimi: scarsezza di carburante, crisi nel trasporto pubblico e nella distribuzione dei beni specie alimentari, amplio malessere sociale.

NEL SUO DISCORSO IN TV lo scorso 12 settembbre Díaz-Canel ha definito come «congiunturali» le «difficoltà» – mai è stata usata la parola «crisi» – dovute al blocco imposto dagli Usa. Aveva promesso che da ottobre la situazione sarebbe migliorata. E infatti così accade – una petroliera venezuelana è giunta a fine settembre e sei altre sono attese con un totale di tre milioni di barili di greggio o diesel – e il flusso di alimenti sovvenzionati dallo Stato sta giungendo alle bodegas dove si vende a bassi prezzi mediante la libreta.

Ma da settimane è in corso un dibattito fra politici ed economisti se la crisi sia congiunturale o strutturale. Ovvero se per sopravvivere e raggiungere il suo scopo – essere prospero e sostenibile – il socialismo cubano abbia bisogno di riforme strutturali (meno burocrazia e pianificazione, più spazio al mercato e ai privati con il controllo macroeconomico dello Stato). Sarà su questi temi che dovrà misurarsi la presidenza di Díaz-Canel.

* Fonte: Roberto Livi, il manifesto[1]

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