Labour party, il programma rosso di Jeremy Corbyn

Labour party, il programma rosso di Jeremy Corbyn

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LONDRA. Si vota il 12 dicembre, l’ennesima volta in cinque anni. No, Godot-Brexit non è arrivato, chissà se e quando lo sarà. Finora è stata una campagna elettorale moscia, floscia, in differita, al buio e al freddo. A iniettargli adrenalina è il programma elettorale del New “Old” Labour di Jeremy Corbyn, presentato ieri a Birmingham. Prende le mosse da quello del 2017, che aveva svaporato i sogni di vanagloria – e di maggioranza assoluta – di Theresa May, consentendo al Labour un cospicuo recupero sui Tories. Ma va oltre. Prevede un potenziamento e una massiccia de-privatizzazione della sanità pubblica, cure dentali gratuite, centomila nuovi alloggi l’anno entro il 2024 per dare una casa ai senzatetto, riconversione energetica verso le rinnovabili e ritorno all’occupazione “verde” delle zone deindustrializzate, nazionalizzazione di energia elettrica, gas, acqua, poste, banda larga gratuita. Stop alla macelleria sociale e dell’austerity vampiresca del controverso sistema Universal credit degli etoniani, con la reintroduzione di un modello di sussidi umano e il blocco dell’età pensionabile a sessantasei anni; e fine delle tasse universitarie più care d’Europa, nazionalizzazione delle ferrovie e autobus gratuiti per chi ha meno di venticinque anni. Aumento del salario minimo da otto a dieci sterline l’ora. In politica estera, un nuovo internazionalismo, che significa, essenzialmente, basta servire la mitragliatrice americana quando spara democrazia in lungo e in largo.

CORBYN SPERA gli valga le chiavi di Downing Street: proprio lui, che ha passato la vita a urlarci davanti con dei cartelli al collo. Mettiamola così: se per alcuni non si era mai visto niente di simile, ambizioso, redistributivo dai tempi dei Levellers, per altri non è che il minimo indispensabile. E alcune delle politiche più ambiziose, come mantenere la libertà di movimento delle persone, l’abolizione delle scuole private votate dalla base all’ultimo congresso e la sacrosanta decarbonizzazione dell’economia entro il 2030, sono state abbandonate, soprattutto per pressione dei sindacati.

Eppure anche il solo scorrere queste proposte, accolte dai consueti, striduli “chi paga?” dei media di regime incapaci di considerare una società che non sia solo per azioni, fa l’effetto di un tonico. A pagare saranno i troppi miliardari dai capitali in perpetua fuga, le compagnie petrolifere che ammassano profitti assassinando la biosfera: la cuspide dell’un percento, che ha nella City la propria capitale europea. Quanto a Brexit, ci sarà un secondo referendum dopo che si sarà rinegoziato un accordo che prevede la permanenza nell’Unione doganale dell’Ue e “prossimità” al mercato unico. I cittadini europei residenti in Uk non dovrebbero passare più attraverso la trafila di richiesta del settled status.

QUESTA È L’UNICA occasione – per lui settantenne e per i suoi concittadini più giovani che non vogliono invecchiare in una terra ecologicamente e socialmente desolata – di raddrizzare la società più privatizzata e diseguale d’Europa, dove la stampa è quasi del tutto in mani private, mendaci e destrorse, dove la crisi economica la pagano le vittime arricchendo i perpetratori, dove le vendite di Suv aumentano man mano che la catastrofe climatica priva di acqua e terra coltivabile il Sud del mondo; o anche solo dove la persistenza di una famiglia sur-reale ammantata in ermellino sta a dimostrare che no, la legge non è uguale per tutti (cfr. il rampollo Andrew). Anche solo questo basterebbe perché l’atroce angoscia baudelairiana sconficcasse il suo nero vessillo dal nostro cranio. Dopotutto se una cosa del genere succede qui, nella capitale mondiale della disuguaglianza, può davvero succedere ovunque.

IL DISTACCO NEI SONDAGGI? Sedici punti dai Tories, ma Boris Johnson si sta confermando elettoralmente mediocre, capace solo di ripetere Get Brexit done, lo slogan Tory che ricorda la strong and stable leadership di Theresa May.

Con buona pace dei Giufà della post-politica, dopo tanto giocare a rimpiattino, destra e sinistra sono tornate visibili. C’è solo da sperare che, come col blairismo neoliberale, il resto d’Europa si affretti a imitare il corbynismo socialista. Sarebbe la fine del There Is No Alternative blair-thatcheriano, del realismo capitalista di Mark Fisher: la classe, dopotutto, non è acqua.

* Fonte: Leonardo Clausi, il manifesto



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