L’autunno si scalda, mobilitazione generale a partire da Ilva

by Massimo Franchi * | 21 Novembre 2019 9:40

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Una «mobilitazione generale» – probabilmente una manifestazione nazionale a Roma di sabato – per fare delle vertenze industriali – a partire dall’ex Ilva – una questione nazionale.
Fiom, Fim e Uilm lo lanciano dall’assemblea nazionale dei delegati – convocata in fretta e furia – tenutasi ieri mattina al teatro Ambra Jovinelli di Roma. Da lì i sindacati dei metalmeccanici hanno chiesto a Cgil, Cisl e Uil «un lavoro comune per il lancio di una mobilitazione generale», partendo dalle mobilitazioni nei territori e nei luoghi di lavoro, per arrivare a coinvolgere tutto il paese.
«Sono molto d’accordo a fare uno sciopero generale – ha sostenuto la segretaria generale della Fiom Francesca Re David tra gli applausi – che metta al centro il lavoro e l’industria. Abbiamo bisogno che i lavoratori ci credano». Dal palco dell’Ambra Jovinelli Re David ha precisato: «Pensiamo che vadano costruite iniziative nei territori che parlino delle crisi che stiamo attraversando e delle soluzioni possibili al governo e alle imprese. Non si può aspettare solo la mobilitazione nazionale, bisogna costruirla. Dobbiamo, attraverso una presenza viva dei metalmeccanici sul territorio, costruire iniziative settore per settore, parlando al paese, al governo e alle imprese e chiedere a Cgil Cisl Uil di costruire una grande mobilitazione».
Una richiesta che le confederazioni hanno subito accolto. «Con Cisl e Uil e con le categorie dobbiamo valutare se unificare le tante crisi aperte per arrivare ad una mobilitazione dell’insieme dei lavoratori, sulla difesa del lavoro e sulla politica industriale», risponde subito da Napoli il segretario della Cgil. Secondo Maurizio Landini «sono tante le vertenze aperte e i dati non ci fanno sperare in meglio per il 2020».
La segreteria generale Cisl Annamaria Furlan è convinta di dover «realizzare una mobilitazione generale», dice senza al momento usare la parola sciopero, che «unitariamente dovremo stabilire nelle prossime giornate». Saranno le segreterie unitarie, non ancora convocate, a decidere cosa mettere in campo e quando.
Nel documento finale votato dall’assemblea si dà voce a tutti gli interventi dei delegati ricordando come le crisi abbiamo riguardato tutti i settori – «industria, elettrodomestico, siderurgia, automotive, informatica, installazioni». «C’è una responsabilità del sistema delle imprese, a partire dalle multinazionali nel processo di desertificazione industriale che dal Mezzogiorno rischia di coinvolgere l’intero paese. È il sistema industriale italiano ad essere in crisi, tra aziende a rischio e altre che per aumentare i profitti non investono e delocalizzano. Il quadro complessivo di assenza di politiche per la competitività del paese accelera questa emorragia», scrivono Fim, Fiom e Uilm. Dopo gli scioperi del 14 giugno e 31 ottobre «è necessario un confronto stabile sull’industria metalmeccanica con il governo ed il sistema delle imprese».
Tornando alla vicenda Mittal, ieri sono arrivate buone notizie per i lavoratori delle imprese dell’indotto di Taranto, che minacciavano di bloccare da oggi lo stabilimento siderurgico. ArcelorMittal, secondo fonti sindacali, ha comunicato di aver pagato tutti i fornitori che da giorni presidiano le portinerie e chiedono il ristoro dei crediti, che ammontano complessivamente a 60 milioni di euro. I 163 fornitori degli autotrasportatori, invece, hanno ricevuto un acconto del 70% tra pregresso e in corso.
Sul fronte giudiziario nessuna novità mentre il ministro Stefano Patuanelli ha chiesto che sia ArcelorMittal a «fare la prima mossa» togliendo dal tavolo i 5.000 esuberi, mentre sullo scudo penale «un ragionamento» si può fare pur se deve passare per un confronto, «in particolare nel M5s», e comunque «non si può partire da qua». Il premier Giuseppe Conte mantiene il pressing politico sull’azienda e in vista dell’incontro con la proprietà avverte – a cui i sindacati chiedono di partecipare: «Venerdì porterò la determinazione di un presidente del Consiglio di un paese del G7 dove si viene e si rispettano le regole»; chiede quindi all’azienda di «capire questa situazione e assumere un atteggiamento ben diverso». Si lavora poi in silenzio ad un piano B: un pilastro pubblico – se non con Cdp, con società controllate dal Tesoro, o anche con un intervento diretto del Mef – per sostenere l’acciaieria o per nuovi progetti che possano sostenere l’occupazione a rischio.

* Fonte: Massimo Franchi, il manifesto[1]

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