Se ArcelorMittal se ne va, si apre la grana dei creditori

Il giorno dopo l’arrivo del premier Conte, a Taranto è calato un silenzio sinistro. Terminato anche lo sciopero indetto dai sindacati, che secondo stime ufficiose ha avuto un’adesione decisamente bassa (si parla del 27%), cresce l’attesa per ciò che accadrà la prossima settimana. Tra i tanti mini incontri effettuati dal premier venerdì, c’è anche quello in Prefettura con una delegazione di Confindustria Taranto, alla quale Conte avrebbe confidato di aver avuto nuovi contatti con i vertici di ArcelorMittal, che dovrebbero portare ad un nuovo incontro domani a Palazzo Chigi.
Del resto al momento anche solo una parvenza di alternativa alla multinazionale guidata dalla famiglia Mittal, di fatto non c’è. Lo stesso Conte ha candidamente dichiarato di «non avere una soluzione in tasca». La previsione più vicina alla realtà parla di un accoglimento parziale del governo delle richieste di ArcelorMittal, dimezzando però le unità da porre in esubero che finirebbero nel perimetro di Ilva in Amministrazione straordinaria. Oltre a un nuovo provvedimento per ripristinare le tutele legali e la possibilità che la Procura accolga una nuova richiesta di proroga da parte dei commissari per completare i lavori sull’altoforno 2, che altrimenti andrebbe spento entro il 13 dicembre.
Dunque ora bisogna fare i conti con la realtà: che parla di aziende dell’indotto che hanno già inviato le prime lettere di cassa integrazione, mentre molte altre temono pesanti ripercussioni sul credito di 50 milioni già fatturati e non incassati per prestazioni e forniture, con uno scaduto che sarebbe pari a circa 5 milioni. Altre avanzano da settimane la richiesta di pagamento delle fatture e hanno già evidenziato problemi per il pagamento degli stipendi agli operai. E qualora l’addio di ArcelorMittal si concretizzasse, bisognerà fare i conti con il risarcimento dei creditori della procedura di amministrazione straordinaria per il fallimento dell’Ilva.
Difatti, gli 1,8 miliardi che ArcelorMittal si era impegnata a corrispondere per l’acquisto degli asset industriali del gruppo Ilva erano completamente destinati al pagamento dei creditori per 3,91 miliardi di euro accumulati negli anni dall’Ilva (tra commissariamento e amministrazione straordinaria). A cominciare dai 300 milioni per ripagare il prestito dello Stato del 2015, per proseguire con i 230 milioni di euro del debito ipotecario sugli impianti. Tra gli 1,2 e gli 1,27 miliardi di euro dovevano servire a coprire prededuzione, Tfr e altri debiti privilegiati: vale a dire i lavoratori, i professionisti e le agenzie che hanno effettuato prestazioni lavorative all’interno dell’azienda. Per gli altri creditori la cifra a disposizione era compresa invece tra lo zero (nessun risarcimento) e i 70 milioni di euro. I mancati risarcimenti potrebbero portare l’Unione europea ad aprire una nuova procedura di infrazione per aiuti di stato, che la firma del contratto aveva disinnescato.
* Fonte: Gianmario Leone, il manifesto
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