Contro i populismi i sindaci Visegrad firmano il Patto delle Città Libere

by Massimo Congiu * | 17 Dicembre 2019 16:07

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Una firma in controtendenza rispetto al populismo dei leader dei Paesi di Visegrád (V4, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia), tale vuole essere l’accordo formalizzato ieri dai sindaci delle quattro capitali interessate. Un accordo in chiave europeista definito «Patto delle Città Libere» che ha visto la luce a Budapest, su invito del primo cittadino della capitale ungherese, Gergely Karácsony, eletto lo scorso ottobre come candidato delle opposizioni al sindaco uscente, István Tarlós, espressione del partito governativo Fidesz. Al centro del Patto la volontà dei firmatari (oltre a Karácsony, Matúš Vallo sindaco di Bratislava, Zdenek Hrib sindaco di Praga e Rafał Trzaskowski sindaco di Varsavia) di cooperare in ambiti quali il clima e la gestione dei fondi Ue. L’intento di fondo è far sì che una parte dei finanziamenti stanziati per i paesi del V4 vada direttamente alle municipalità «ed evitare in questo modo che tali somme vengano gestite direttamente dai governi e finiscano chissà dove…».

«Le nostre città hanno sempre difeso i valori legati alla solidarietà», aveva detto Karácsony in occasione di un incontro preparatorio con due dei sindaci del V4; e aveva aggiunto: «Faremo di Budapest una testa di ponte verso l’Europa». Secondo diversi esperti l’iniziativa potrebbe contribuire a cambiare in meglio l’immagine di questi quattro paesi nel resto dell’Ue ma, contemporaneamente, esacerbare le divisioni urbano-rurali; cosa che potrebbe giocare a sfavore dei partiti dei quattro sindaci in fase elettorale.

I firmatari si sono impegnati a sostenere un’agenda pro-Ue in patria e una serie di soluzioni in settori quali l’ambiente, l’occupazione, l’economia e le relazioni con l’Unione europea, a partire dalle città che amministrano. I medesimi si augurano che la loro iniziativa venga appoggiata da Bruxelles in un momento in cui i loro paesi fanno scelte contrarie a quelle dettate dalle politiche dell’Ue; senza contare i casi estremi, quelli rappresentati dall’Ungheria e dalla Polonia, in particolare, che destano forti preoccupazioni per una serie di politiche giudicate antidemocratiche. Budapest e Varsavia vengono tenute sotto il tiro dell’Articolo 7 per una serie di provvedimenti considerati lesivi dello stato di diritto: nel primo caso si parla in particolare di leggi approvate nei campi della magistratura, del sistema mediatico e delle università, anche quelle straniere, nel secondo, soprattutto di misure concepite in ambito giudiziario.

Polonia e Ungheria si sono impegnate a spalleggiarsi in questo scontro e a difendersi reciprocamente col veto da eventuali sanzioni. La situazione è delicata, i leader dei paesi in questione fanno mostra di voler tenere testa all’Ue e di sostenere il principio secondo il quale ogni stato è sovrano sul suo territorio e libero di applicare le leggi che ritiene più consone. Nessuno di essi, però, vuole rinunciare ai fondi Ue e contesta ogni principio che vincoli l’ottenimento di queste somme alla condizione di accettare decisioni prese da Bruxelles senza sentire il parere dei parlamenti nazionali, come quella delle quote obbligatorie in ambito migranti. I quattro sindaci sanno che la situazione è critica sotto il profilo dei rapporti con l’Ue e pongono l’accento su un impegno comune a diffondere i valori europei, la democrazia, l’apertura e a opporsi a politiche conservatrici che a loro avviso non consentono alcun progresso economico, culturale e sociale.

* Fonte: il manifesto[1]

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