Cop 25, il sud del mondo rivendica equità: «Siamo i più colpiti»

Cop 25, il sud del mondo rivendica equità: «Siamo i più colpiti»

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L’icona dei giovani mobilitati per il clima ha toccato terra ieri a Lisbona. Greta Thunberg, accolta con entusiasmo da autorità e popolazione, alle decine di attivisti che l’attendevano al suo arrivo al porto ha annunciato che andrà a Madrid alla Cop 25 – e alla manifestazione del 6 dicembre – per portare «le voci delle prossime generazioni, in particolare quelle del sud del mondo, perché siano ascoltate». «I paesi devono mettersi «dalla parte giusta della storia – ha aggiunto -, e dobbiamo tutti fare molto di più di quello che stiamo facendo oggi». Ma i fronti incerti sono tanti.

Dieci, cento, mille miliardi. Il Rischiatutto climatico gira anche intorno a queste cifre, in dollari sonanti. L’ultima equivale alla spesa militare annua della Nato, la principale e più aggressiva organizzazione militare del pianeta. Armamenti a rapido rinnovo, guerre di aggressione camuffate, basi belliche dovunque. La seconda cifra, un decimo della prima, corrisponde a quanto i paesi sviluppati dovrebbero stanziare annualmente per la mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo. Infine, i dieci miliardi (annui) sono quanto il Green Climate Fund ha finora ottenuto a questo scopo.
Questa situazione paradossale ha ispirato fermi appelli, da parte di organizzazioni pacifiste da un lato, e dei Paesi meno avanzati e di organizzazioni per l’equità ambientale dall’altro.

L’International Peace Bureau ha chiesto ai paesi impegnati a Madrid di «tagliare le emissioni militari», tradizionalmente ignorate nei negoziati sulla riduzione (e anche nei rapporti scientifici ufficiali). «La Cop25 e i paesi firmatari dell’Accordo di Parigi devono includere il settore militare, vero killer del clima, nei calcoli relativi alle emissioni e nei piani d’azione, obbligando gli attori alla trasparenza e a veri tagli». Sul tema, anche la Wilpf (Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà) organizza eventi a Madrid.

Intanto, in nome dell’equità, i 47 Paesi meno avanzati (Ldc in inglese), fra i quali diversi Stati africani e gli Stati isola del Pacifico, avanzano rivendicazioni di fronte a un caos che li colpisce più di tutti, benché producano mediamente solo 0,314 tonnellate di gas serra pro capite all’anno (contro una media mondiale di 4,96, per non parlare dei paesi più abbienti che superano le 20 tonnellate). Del resto, come sottolinea il Centre for Science and Environment di New Delhi citando dati Oxfam, fra i terrestri «il 10% più ricco produce metà delle emissioni climalteranti», per cui «l’equità è un dovere, non un gentile regalo».

Le aspettative degli Ldc sono quattro: più seri impegni nazionali di riduzione (Ndc); compensazioni per i paesi più vulnerabili e meno responsabili, secondo il meccanismo adottato alla Cop19 in Polonia e che ora va rivisto; un mercato del carbonio trasparente e non truffaldino; una finanza climatica all’altezza dei costi (stimati in quasi 94 miliardi di dollari annui) che quei paesi devono affrontare per l’applicazione degli Ndc. Il gruppo organizza a Madrid diversi eventi paralleli per discutere delle esperienze e dei progressi compiuti.

Presenti solo simbolicamente alla Cop 25 le comunità più colpite. Fra queste i 7,7 milioni di abitanti dello Zimbabwe (la metà della popolazione) attualmente alla fame per «una serie senza precedenti di shock climatici in rapida successione nell’Africa meridionale», secondo il comunicato il Programma alimentare mondiale dell’Onu intento ai soccorsi. A causa dei raccolti andati perduti per la peggiore siccità degli ultimi decenni alternata a inondazioni, ben 45 milioni di persone dei sedici paesi dell’Africa australe saranno in stato di grave insicurezza alimentare nei prossimi mesi. Del resto le temperature nell’Africa australe stanno aumentando del doppio rispetto alla media globale. Intanto la Fao sta fornendo input e sostegno in Afghanistan, dove dieci milioni di persone sono colpite da calamità naturali e conflitti. Si tratta i gran parte di contadini, i più esposti al caos del clima.

«Attenzione alle multinazionali e ai governi egemoni», sottolinea La Via campesina, il «sindacato» internazionale di piccoli agricoltori di 80 paesi che è presente sia al Vertice dei popoli a Santiago del Cile (la sede originariamente prevista per la Cop25) sia al Forum sociale per il clima che si tiene a Madrid dal 7 dicembre. Il movimento denuncia le «contraddizioni dell’Accordo di Parigi, per la sua natura non vincolante e l’incapacità di superare le logiche di mercato, che consentiranno a certi paesi e alle loro multinazionali di continuare a inquinare» proponendo false soluzioni, dagli agro-combustibili ai crediti di carbonio. In fondo, «il sistema capitalistico si appropria dei beni comuni». E di «modello capitalistico retrogrado» parla anche il presidente del Venezuela Nicolas Maduro nella lettera che ha inviato a Madrid.

E qualche speranza è lecita se, perfino dalla Polonia, il neonato ministero del clima nel paese che è il principale produttore di carbone d’Europa, ha dichiarato di voler accelerare i programmi statali per la rimozione delle caldaie a carbone e a legna e per la promozione dell’energia solare e marina.

* Fonte: Marinella Correggia, il manifesto



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