Industrie belliche e governi complici dei crimini di guerra in Yemen

Industrie belliche e governi complici dei crimini di guerra in Yemen

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Un incontro con l’Ufficio del procuratore che vaglia preliminarmente le possibili indagini della Corte penale internazionale (Cpi), con il deposito di una corposa Comunicazione (oltre 350 pagine) per segnalare l’ipotesi che dirigenti delle aziende armiere e funzionari pubblici responsabili delle licenze di esportazione siano complici nei presunti crimini di guerra commessi dalla Coalizione militare guidata da Arabia saudita e Emirati arabi uniti in Yemen.

È QUESTA L’INIZIATIVA appena promossa dalla società civile internazionale, nel quinto anno del sanguinoso conflitto yemenita, e coordinata dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (Ecchr) di Berlino. A sostegno dell’azione dei legali di Ecchr i dati e le prove raccolti dagli esperti della ong yemenita Mwatana per i diritti umani insieme al Segretariato internazionale di Amnesty International, alla Campagna britannica contro il commercio di armi (Caat), al Centro Delàs di Barcellona e alla Rete italiana per il disarmo.

NELLA COMUNICAZIONE sono descritti in dettaglio ben 26 attacchi aerei condotti dalla Coalizione a guida saudita che potrebbero equivalere a crimini di guerra ai sensi dello Statuto di Roma. La Cpi ha giurisdizione su crimini di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e dopo una Comunicazione è compito dell’Ufficio del Procuratore determinare se le accuse abbiano sufficienti motivazioni di fatto e di diritto.

«Gli attacchi aerei della Coalizione hanno causato una terribile distruzione nello Yemen. Le armi prodotte ed esportate dagli Stati uniti e dall’Europa hanno permesso questa distruzione. Le innumerevoli vittime yemenite meritano inchieste credibili su tutti gli autori di crimini contro di loro, comprese tutte le potenziali complicità» sottolinea Radhya Almutawakel presidente di Mwatana.

L’INIZIATIVA delle organizzazioni della società civile non si rivolge solo ai funzionari governativi responsabili delle autorizzazioni all’export di armamenti. L’invito al procuratore della Corte penale internazionale è infatti quello di indagare anche sulla responsabilità legale di diverse imprese concentrandosi sul ruolo delle seguenti società: Airbus Defence ade Space (sedi in Spagna e Germania), BAE Systems (Regno Unito), Dassault Aviation (Francia), Leonardo S.p.A. (Italia), MBDA UK (Regno Unito), MBDA France (Francia), Raytheon Systems (Regno Unito), Thales (Francia) e Rheinmetall AG (Germania) tramite la controllata RMW Italia. Infatti anche se gli attacchi su case civili, mercati, ospedali e scuole condotti dalla coalizione saudita sono ormai ben documentati da anni, molte compagnie a produzione militare con sede in Europa hanno continuato e continuano a fornire ad Arabia saudita ed Emirati arabi uniti armi, munizioni e supporto logistico. Rendendosi quindi complici di fatto di possibili violazioni del diritto umanitario internazionale, ipotizzate da esperti Onu anche con il profilo di possibili crimini di guerra. La speranza delle ong è che la Corte possa svolgere un ruolo positivo nell’iniziare a colmare l’attuale enorme mancanza di trasparenza e di assunzione di responsabilità.

IL CONFLITTO IN CORSO ha portato a quella che l’Onu definisce la più grande crisi umanitaria dei nostri tempi con quasi 100 mila morti civili e con tutte le parti in conflitto che hanno ripetutamente violato i diritti umani e il diritto internazionale umanitario. Grazie al lavoro dei media e delle organizzazioni della società civile è ormai noto da tempo anche il flusso di armamenti che finisce in Yemen, oggetto di azioni legali a livello nazionale (in particolare in Gran Bretagna, Belgio e Italia).

Portare ora attori economici e politici davanti alla Cpi è un nuovo innovativo passo nella ricerca della giustizia. Infatti l’esportazione di armi, anche se autorizzata da licenze governative, non è una transazione commerciale “neutrale” e può portare a gravi conseguenze.
E anche in presenza di una incapacità di uno Stato nell’applicare le pertinenti leggi sul controllo delle esportazioni di armi, le aziende produttrici non sono esonerate dalla responsabilità di rispettare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario. Perché la concessione di autorizzazione all’export non libera l’azienda dall’obbligo di valutare il rischio che le armi consegnate vengano utilizzate nella commissione di reati internazionali. In pratica ricevendo una licenza, un’azienda non riceve un obbligo: c’è la possibilità di esportare, ma si lascia aperta anche la possibilità di non esportare.

A SEGUITO DELLA COMUNICAZIONE la Corte dovrà valutare se esiste una base ragionevole per procedere a un’indagine sotto la propria giurisdizione. Che è quanto chiedono le organizzazioni della società civile, e ancora di più le vittime del conflitto in Yemen.

* Fonte: Francesco Vignarca, il manifesto



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