North Stream 2. Donald Trump dichiara guerra all’Europa e spara sanzioni

North Stream 2. Donald Trump dichiara guerra all’Europa e spara sanzioni

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Se per Trump la politica estera è un Far West, Mike Pompeo è il suo bounty killer. Quando gli europei lo vedono arrivare fanno gli scongiuri. E puntualmente, dopo la sua visita di venerdì in Germania, gli Usa hanno sanzionato le società coinvolte nel North Stream 2, il gasdotto da 11 miliardi di dollari con la Russia che passa sotto il Baltico e aggira i Paesi di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria), Stati baltici e Ucraina.

«Queste sono tutte attività legali» protesta stavolta l’Unione europea. La Germania grida: «È ingerenza», e la Merkel solo due giorni fa ha dichiarato nel Bundestag, rispondendo ad una domanda proprio sul North Stream 2: «Noi siamo contro le sanzioni extraterritoriali, come si è già visto anche nel caso dell’Iran, dove abbiamo lo stesso problema», con un tono così duro che ha fatto dire alla Bild che la sua è «una dichiarazione di guerra a Trump».

IL PROBLEMA è che l’America trumpiana irride ogni legalità esistente: la rottura dell’accordo sul nucleare con l’Iran, imponendo sanzioni a tutti, aveva forse una giustificazione se non accomodare Israele e i sauditi, suoi maggiori acquirenti di armi? È una questione di marketing non di principi. E ora Donald Trump, proprio perché sotto impeachment, spara nuove sanzioni per mostrare che tiene sotto tiro Putin e vara lo SpaceCom con i toni belligeranti del pistolero spaziale.

È evidente che ormai l’Europa si dibatte in una battaglia del gas stritolata nel triangolo Trump-Putin-Erdogan. Una guerra economica ma con risvolti militari nel Mediterraneo orientale e in Libia. E che alla fine potrebbe risultare strategica per il futuro del continente.

LE SANZIONI statunitensi al North Stream 2 sono arrivate proprio mentre Mosca raggiungeva un accordo con Kiev per le forniture di gas all’Ucraina e alla Ue, un passo certamente positivo per la distensione nell’Est Europa.

Ma agli Usa non va bene: intendono controllare le vie dell’energia e soprattutto vendere agli europei il loro “shale gas” (estratto dalle argille) – che ci costa di più – con la scusa di diminuire la dipendenza europea da Mosca.

Trump si vuole disimpegnare dall’Europa e dal Medio Oriente ma non intende rinunciare ai mercati dell’energia, degli armamenti e a gestire, a colpi di dazi e sanzioni, i flussi commerciali in funzione anti-russa e anti-cinese. Anche la Brexit in questo senso gli dà una mano, indebolendo un concorrente come l’Unione europea.

Vedremo se gli Stati uniti useranno la stessa determinazione sanzionatoria per le rivendicazioni della Turchia sul gas offshore di Cipro greca che colpiscono gli interessi di Italia, Francia, Grecia e Israele. Navi da guerra italiane e francesi sono già in zona. Ma forse a noi dovrà pensare ancora Putin, l’unico in grado di trattare con Erdogan, in Siria, Libia e anche sul gas, visto che è partito il Turkish Stream, sostituto del South Stream – un progetto italiano di Saipem – annullato nel 2014 per le sanzioni a Mosca sull’Ucraina.

LA LIBIA è in primo piano perché il governo di Tripoli guidato dal «nostro» Al Sarraj ha firmato con Erdogan, in cambio della sua protezione militare, un accordo che autorizza la Turchia a fare esplorazioni per il gas offshore nella zona esclusiva di Cipro greca dove sono attive società italiane come l’Eni, la francese Total ma anche compagnie americane. Un’area dove ha forti interessi Israele che ha stretto accordi con la Grecia e Cipro per il passaggio di un gasdotto sottomarino che dovrà trasferire in Europa le risorse energetiche israeliane e quelle egiziane. A rigor di logica Washington dovrebbe proteggere questi progetti ma di logico negli Usa c’è rimasto ben poco.

ERDOGAN ha strappato l’intesa a Sarraj con la pistola puntata alla tempia: senza i turchi Tripoli potrebbe soccombere all’offensiva del generale Khalifa Haftar sostenuto da mercenari russi, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Arabia Saudita. E proprio per questo “sgarbo” di Sarraj che l’Italia si sta riposizionando in Libia, il vero argomento dell’ultima telefonata tra Conte ed Erdogan.

Si sta verificando quanto scritto più volte sul manifesto. Erdogan ha gioco facile a tenere in scacco gli europei su vari dossier, dai profughi siriani ai foreign fighter, dalla Libia al gas. E dimostra di volerlo fare anche con gli Stati uniti che minacciano sanzioni per l’acquisto delle batterie russe anti-missile S-400: per ritorsione il leader turco potrebbe chiudere la decisiva base aerea e nucleare Usa di Incirlik. Cosa che del resto ha già fatto dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, quando europei e americani si aspettavano che lo facessero fuori.

Si paga una lunga serie di errori, come aver lasciato far credere a Erdogan che l’Occidente avrebbe fatto fuori Assad in Siria con l’appoggio ai ribelli “moderati”. E si paga anche l’ultimo crimine: il via libera americano al massacro dei curdi siriani nel Rojava, alleati nella lotta all’Isis e al terrorismo jihadista. Non c’è da stupirsi che Sarraj si rivolga alla Turchia, visto che i suoi amici europei, compresa l’Italia, lo sostengono più a parole che non con i fatti, pur essendo Tripoli il governo riconosciuto dall’Onu.

Princìpi e legalità internazionale ormai si sono liquefatti con il risultato che le sorti del Mediterraneo le decidono Erdogan, Putin e il pistolero spaziale Trump, come gli va e se gli va.

* Fonte: Alberto Negri, il manifesto

photo by Pjotr Mahhonin [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]



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