Seattle, 20 anni dopo. Qual è il Green new deal che ci serve
Un grande mondo colorato, trascinato da metalmeccanici e ambientalisti. Poi uno strappo, e dal lato un turbine di farfalle nel cielo freddo del 30 novembre a Seattle. È una delle immagini più simboliche della battaglia per il pianeta combattuta da oltre 50 mila attivisti, indigeni, femministe, contadini e lavoratori che, in questi giorni di venti anni fa, bloccavano il vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Affermavano che «questo mondo non è in vendita» e che liberalizzare il commercio di per sé non è un valore. Pensavano che «globalizzando la lotta» si sarebbero sprigionati gli anticorpi necessari a resistere a quell’attacco sponsorizzato da quelle corporation che sarebbero state le uniche a guadagnarci. Dopo vent’anni, infatti, la Fao ci dice che 2 miliardi di persone non sanno se mangeranno tutti i giorni, mentre l’Unctad, agenzia dell’Onu che valuta commercio e sviluppo spiega che l’1% delle imprese più grandi capitalizza in media il 57% delle esportazioni di ciascun Paese.
Giuliano Amato, che nel 1999 era ministro del Tesoro, dopo il collasso della Wto disse che «globalizzazione non vuol dire mangiare tutti lo stesso hamburger, ma far convivere persone che pensano diversamente su ogni cosa e che pretendono legittimamente di dare le loro regole. Un mondo in cui tutte le diversità devono essere ritenute uguali, è un mondo che si condanna alla totale ingovernabilità. Seattle in questo può diventare simbolo e inizio del caos mondiale». I ragazzi dei Fridays for Future, scesi in piazza ieri a migliaia per il quarto sciopero globale per il clima, ci rimproverano di avergli lasciato un «mondo in fiamme» e hanno puntato il dito contro gli accordi commerciali come il Ceta e Ue-Mercosur, che facilitano lo scambio di combustibili inquinanti e Ogm, di prodotti frutto di dumping sociale e ambientale che, nel caso del Mercosur, potenziano deforestazione e repressione in Amazzonia.
Come ha ricordato sul New York Times l’avvocata statunitense Lori Wallach, protagonista della “battaglia di Seattle”, la maggior parte delle 242 «cause commerciali» affrontate dal Tribunale delle dispute della Wto attaccano legislazioni nazionali che limitano l’uso di pesticidi, ormoni e Ogm, sostengono le produzioni locali, assicurano origine, tracciabilità e sicurezza di prodotti e servizi, incentivano energie rinnovabili, proteggono lavoratori e ambiente. Solo in 22 casi le leggi nazionali sono sopravvissute alla sentenza.
A vent’anni da Seattle, un Green New Deal credibile deve fornire un quadro di regole avanzato e chiaro per tutti, con adeguati finanziamenti, che inverta questa direzione. Ed è per questo che l’Associazione delle Ong italiane, Fairwatch, la Fondazione Di Vittorio e Kyoto Club il 3 dicembre a Roma, all’hotel Nazionale, raccolgono intorno a una lectio dell’economista Unctad Jeronim Capaldo, che illustrerà una proposta Onu per un vero Green New Deal, ecologisti come Grazia Francescato e esperti di finanza etica come Ugo Biggeri di Etica Sgr che a Seattle c’erano, Antonella Baldino di Cdp e Marco Felisati di Confindustria con la portavoce delle Ong Silvia Stilli e quella della Campagna contro la povertà Stefania Burbo, Andrea Pasa e Rita Innocenzi di Cgil con la esperta di aree di crisi Elena Battaglini.
L’ingegnera delle imprese verdi Annalisa Corrado introdurrà l’imprenditrice più innovativa al mondo secondo il Time Daniela Ducato, che trasforma scarti in biomateriali, Pierfrancesco Fattori per il leader della pasta bio cooperativa Girolomoni, Noemi De Santis di Farmosa e Eugenio Cavalli, che ha lanciato il concorrente naturale del glifosate, innocuo e più efficace.
Il ministro per la Ricerca Lorenzo Fioramonti aprirà i lavori, ed è stato invitato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri mentre si confronteranno con le proposte i deputati Stefano Fassina e Rossella Muroni di Leu, Lia Quartapelle del Pd, Sara Cunial e Alessandro Fusacchia arrivati al gruppo Misto da M5S e + Europa. Un confronto importante e urgente per una nuova idea di mondo, sicuramente possibile se lo si vuole davvero.
* Fonte: il manifesto
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