ph by Tefita228 [CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]
by Claudia Fanti * | 15 Gennaio 2020 16:33
I paramilitari fanno il bello e il cattivo tempo nelle aree un tempo controllate dalle Farc, incoraggiati dal mancato smantellamento delle organizzazioni criminali
È un massacro senza fine quello in corso in Colombia contro dirigenti sociali, leader indigeni, ex combattenti. Il fiume di sangue non si è fermato neppure durante le feste: a Natale, mentre stava festeggiando con la famiglia, è stato ucciso, nel dipartimento del Huila, il dirigente sociale Reinaldo Carrillo, mentre, alla vigilia, il municipio di Tumaco, nel Nariño, ha pianto la morte della promotrice culturale Lucy Villarreal, che appena otto giorni prima aveva sollecitato il ministro della Difesa Carlos Trujillo a garantire protezione ai leader comunitari.
MA È IN QUESTO INIZIO D’ANNO che si è registrata un’impennata: solo nei primi tredici giorni del 2020 sono stati uccisi 18 dirigenti sociali e difensori dei diritti umani, più un ex combattente, Benjamín Banguera Gonzalez, assassinato l’1 gennaio a Guapi, nel Cauca. L’ultimo a cadere, lunedì, nel dipartimento di Córdoba, è stato Jorge Luis Betancourt, coordinatore delle attività sportive della Junta de Acción Comunal di San Francisco del Rayo. Prima di lui, l’11 gennaio, ancora nel Huila, era stato ucciso il leader contadino John Fredy Álvarez, militante del movimento politico Marcha Patriótica, un coordinamento di cui fanno parte 859 organizzazioni indigene, contadine, femministe, Lgbti, afrodiscendenti, studentesche e operaie di 29 dei 32 dipartimenti della Colombia. È il 222° rappresentante dell’organismo assassinato a partire dal settembre del 2011, il 43° dell’era Duque e il quinto in appena due giorni.
Degli altri quattro, uno è stato ucciso nel Nord di Santander e gli altri tre nel Cauca, uno dei territori più colpiti, poche ore dopo che il presidente Iván Duque, travolto dalle critiche di fronte alla carneficina in atto, attivasse in Popayán il Comando específico del Cauca, allo scopo di combattere il narcotraffico e le organizzazioni criminali nella regione.
IN REALTÀ, È DALL’INIZIO del suo governo che i gruppi paramilitari – come, ad esempio le Autodefensas Gaitanistas de Colombia, di cui la Commissione interecclesiale di giustizia e pace ha denunciato una forte presenza nel Chocó, sotto lo sguardo benevolo delle forze militari e di polizia – hanno ripreso ad agire indisturbati, facendo il bello e il cattivo tempo nelle aree un tempo controllate dalle Farc e nei nuovi centri nevralgici del narcotraffico, incoraggiati dall’inerzia imperante riguardo allo smantellamento delle organizzazioni criminali previsto negli Accordi di pace.
Così, ignorando olimpicamente gli allarmi lanciati dalla Comisión nacional de garantías de seguridad sui ripetuti fatti di sangue, Duque si è limitato, un tweet dopo l’altro, a «ripudiare omicidi», esprimere «profondo cordoglio», manifestare «solidarietà alle famiglie» e comunicare di aver «ordinato alle autorità di avanzare nelle indagini per catturare i criminali», senza ovviamente alcun effettivo avanzamento.
SI SPIEGA COSÌ come, in base ai dati forniti da Indepaz (Instituto de estudios para el desarrollo y la paz), siano già 348 i leader sociali assassinati sotto il governo Duque, 234 dei quali nel 2019. Omicidi che avvengono secondo modalità assai simili: generalmente nelle case delle vittime o nelle loro vicinanze, spesso in presenza del marito o della moglie e dei figli, ad opera di sicari che si muovono a piedi o con motociclette senza targa e sparano a corta distanza una raffica di proiettili. Dettaglio fondamentale, gli omicidi avvengono in luoghi caratterizzati da un’ampia presenza militare.
Tuttavia, per gli Stati uniti, la Colombia è un modello da seguire nella difesa dei diritti umani, come certificato, lo scorso settembre, attraverso una lettera della vicesegretaria di stato per gli affari legislativi Mary Elizabeth Taylor, con tanto di premio di 20 milioni di dollari destinato alle forze armate. E non meno sconcertante è il silenzio mantenuto dal segretario generale dell’Organizzazione degli stati americani Luis Almagro e dall’Alta commissaria delle Nazioni unite per i diritti umani Michelle Bachelet.
MA SARÀ PROPRIO LA STRAGE di leader sociali uno dei punti al centro della mobilitazione che, il prossimo 21 gennaio, segnerà la ripresa della protesta contro il governo Duque esplosa il 21 novembre scorso.
* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto[1]
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