L’Europa lancia il «Green deal» e dichiara investimenti per miliardi

by Anna Maria Merlo * | 15 Gennaio 2020 16:23

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La nuova Commissione ha preso un impegno: portare l’Unione europea alla neutralità carbone entro il 2050. Ma come si arriva a realizzare questo obiettivo, annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen nel discorso di insediamento lo scorso dicembre? Adesso la Ue entra nella fase più difficile, tradurre le parole in atti. Senza aprire il vaso di Pandora, c’è la grande questione della flessibilità del Fiscal Pact, se ci fosse veramente la volontà di raggiungere la neutralità climatica gli investimenti per il clima potrebbero essere tolti dal calcolo del 3% del deficit, ma per ora nessuno ne parla.

IERI, LA COMMISSIONE ha presentato al Parlamento il programma di finanziamento del Green Deal per i prossimi 5 anni (nell’ambito del bilancio pluriennale di 7 anni, 2021-27, ora in discussione), cercando di rispondere alle tre sfide che deve superare: quella del “montante” (quanti soldi destinare alla transizione energetica?); la sfida degli investimenti, perché esiste una “barriera” dovuta alla percezione del rischio, giudicata spesso troppo alta, che frena; la sfida della coesione, perché non tutte le regioni europee sono eguali di fronte ai bisogni della transizione.

Uno studio relativo all’orizzonte 2030, aveva stabilito a 260 miliardi l’anno gli investimenti aggiuntivi necessari per raggiungere l’obiettivo di un calo delle emissioni intorno al 40% nei prossimi dieci anni (obiettivo nei fatti al di sotto dell’impegno della Cop21, di mantenere il riscaldamento climatico sotto 1,5°, che avrebbe bisogno di una riduzione più vicina al 65% delle emissioni ad effetto serra che al 50%). Adesso la Commissione addiziona tutto l’addizionabile (e le speranze dell’effetto leva) per arrivare a dichiarare 1.000 miliardi di euro per il clima in dieci anni (cioè 100 miliardi l’anno). Cifra enorme, ma che è simile a quella già sbandierata dal Piano Juncker della scorsa Commissione.

IL BILANCIO UE (in discussione, tra molti tira e molla) dovrà dedicare il 25% alla transizione energetica. Un quarto del bilancio pluriennale 2021-27 significa più o meno 500 miliardi di euro, che deriveranno da un trasferimento del 40% dai Fondi di coesione e un altro 40% dalla Pac (politica agricola), più altri fondi da progetti specifici (tipo Life). Ci dovrebbero essere anche più soldi per la ricerca dedicata alla transizione climatica.

Aggiungendo 100 miliardi dal co-finanziamento della politica di coesione, la Commissione arriva a calcolare 600 miliardi. Poi addiziona la successione del Piano Juncker, il piano Invest Europe, dove i soldi europei servono da garanzia per ridurre i rischi legati a questo tipo di investimenti e attirare così i privati. Nella migliore delle ipotesi ci sarebbero 300 miliardi, come risultato dell’”effetto leva”, con partecipazione della Bei e altre istituzioni finanziarie.

L’ULTIMA TRANCHE di finanziamenti dovrebbe arrivare da un nuovo Fondo, proposto ieri per la “transizione giusta”, dotato di 7,5 miliardi (con un meccanismo di “leva”: per ogni euro di finanziamento Ue, la regione interessata dovrà investirne 1,5 e ci sarà un finanziamento nazionale tra il 30 e il 70% dei costi del progetto). Questo capitolo è fatto per convincere i paesi reticenti, a dicembre la Polonia aveva rifiutato di approvare il Green Deal. Si apre la corsa all’”eleggibilità”: quali regioni ne avranno diritto? Quelle che hanno una maggiore intensità di emissioni di Co2, con attività che hanno una importante incidenza nell’occupazione locale e dove l’economia dipende in modo determinante dal carbone. A febbraio-marzo ci sarà una “tassonomia” per determinare i criteri di eleggibilità, già si profilano Polonia, Repubblica ceca e anche certe zone della Germania come meglio piazzate per ottenere i finanziamenti alla riconversione (riqualificazione dell’area, formazione per i lavoratori ecc.), per l’Italia potrebbe esserci Taranto per l’Ilva.

UN FUTURO BRACCIO DI FERRO si annuncia, tra chi dovrà pagare e chi sarà beneficiario: tra l’altro, ci potrebbe essere uno scontro tra la necessità di accedere al Fondo di transizione giusta e le penalità legate al non rispetto dello stato di diritto (Polonia, Ungheria). Bisognerà invece aspettare fino a fine anno, per capire se il nucleare sarà considerato “verde” (almeno verde pallido) come vorrebbero Francia, Repubblica ceca e pochissimi altri (a Parigi serve per calcolare il rispetto delle emissioni di Co2), fermo restando il fatto che l’Ue non investe nell’energia dell’atomo.

* Fonte: Anna Maria Merlo, il manifesto[1]

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