Bahri Yanbu. La nave delle armi arriva a Genova tra proteste e polemiche

by Nina Valoti * | 18 Febbraio 2020 9:45

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Doveva arrivare oggi. Ma pur di destare meno attenzione, la Bahri Yanbu ha accelerato la sua marcia e, passato lo stretto di Gibilterra in tutta fretta è arrivata a Genova ieri mattina attorno alle 10 e trenta. Senza però cogliere di sorpresa i camalli e i pacifisti che già lo scorso maggio avevano contestato l’attracco al cargo saudita che trasporta armi per la guerra in Yemen.
Proprio il successo del maggio scorso ha portato alla decisione di militarizzare il porto: ingresso proibito a chi non lavora, varchi presidiati dalle forze dell’ordine. Così ieri mattina gli attivisti sono dovuti rimanere lontani dalla nave, tenendo il presidio sotto ponte Etiopia in via Lungo Mare Canepa a Sampierdarena.

Anche da lì però hanno fatto sentire la loro voce un centinaio di attivisti dei partiti della sinistra e di Amnesty con lo striscione «Shame» («vergogna»), cori e fumogeni per protestare contro l’attracco. Un presidio che si è sciolto solo alle 15.

Venerdì la Cgil – a cui il Calp aveva chiesto di indire uno sciopero cittadino – aveva tenuto un presidio concluso con l’incontro con il prefetto a cui era stata richiesto «maggior controllo, rispetto della Costituzione e della risoluzione parlamentare sulla sospensione di fornitura di armi in Yemen».

AD APPOGGIARE IL PRESIDIO e la protesta dei camalli ieri mattina è arrivata anche la voce di monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi: «Esprimo la mia solidarietà ai lavoratori del porto che si rifiutano di collaborare per non essere complici della guerra. Anche papa Francesco aveva detto “hanno fatto bene”. Da tempo denunciamo questa situazione in cui anche l’Italia vende armi, prodotte dalla Rwm, all’Arabia Saudita che poi le usa per bombardare lo Yemen. Tutto questo è inammissibile».

IN PORTO LA TENSIONE era palpabile. Il Calp – il Collettivo autonomo lavoratori portuali – aveva aperto «un canale informativo con il ministero degli esteri per chiedere, ai sensi della legge 185 del 1990 che norma il transito sul suolo italiano delle armi, che la nave non potesse attraccare – spiega un delegato Filt Cgil che fa parte del Calp – . Ma dal ministero ci hanno fatto sapere che non era applicabile alla guerra in Yemen in quanto dal punto di vista formale è il governo, seppur fantoccio, dello Yemen ad aver chiesto l’intervento dell’Arabia. Insomma, hanno usato un cavillo per far attraccare la nave, pur sapendo che portava armi per una guerra che sta producendo una strage umanitaria».

NON POTENDO EVITARE l’attracco, il Calp puntava a bloccare le operazioni sulla Bahri Yanbu. «Una nostra delegazione – continua il membro del Calp – ha chiesto di incontrare l’Rls (Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ndr) del molo Cmp dove la nave ha attraccato. Lui per primo si era informato con la segreteria della Cgil per astenersi dal lavoro e ci ha riferito che gli era stato risposto che l’avrebbe potuto fare come “obiezione di coscienza”. Ma l’obiezione di coscienza ricade totalmente sul lavoratore e molti compagni precettati non se la sono sentita, decidendo alla fine di lavorare per non rischiare conseguenze in futuro», commenta amaro il delegato.
Alla fine dunque sulla Bahri Yanbu «sono stati imbarcati due trattori, cinque camion senza rimorchio e un ampio tonnellaggio di lingotti di alluminio». Dunque non materiale militare, come accadde a maggio quando fu bloccato dalla protesta dei camalli e delle organizzazioni pacifiste il carico di un generatore elettrico a uso militare.

UNA DIFFERENZA CHE NON LENISCE l’amarezza del Calp: «Sulla nave si vedevano a vista c’occhio le armi trasportate nei container di coperta, non in stiva», denunciano i delegati. Preoccupati che altre navi piene d’armi «con questo stratagemma possano tornare a Genova».

* Fonte: Nina Valoti, il manifesto[1]

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