Covid-19, ora l’epidemia ha come epicentro la Corea del Sud

by Andrea Capocci * | 28 Febbraio 2020 9:23

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L’epicentro dell’epidemia non è più la Cina. Il paese in cui il numero di casi aumenta più rapidamente ora è la Corea del Sud, che ieri ha registrato 505 nuovi casi contro i 433 annunciati a Pechino. Il totale è di 82mila casi e 2810 morti in tutto il mondo, con la percentuale extra-cinese che sale al 5% dei contagiati e al 6% dei morti.

NELLA CITTÀ DI DAEGU, dove si concentra la maggioranza degli ammalati della Corea del Sud, iniziano a scarseggiare i posti letto e i medici per fronteggiare l’ondata. Quello che succede a Daegu è l’evoluzione paventata da molti paesi, Italia compresa. La malattia Covid-19, come ormai abbiamo imparato, non ha tassi di letalità elevatissimi. Ma la rapidità del contagio e il gran numero di malati anziani bisognosi di cure ospedaliere rischiano di mettere in crisi il sistema sanitario, se l’attività di contenimento e mitigazione non riesce se non altro a rallentare l’allargamento dell’epidemia.

NEL VICINO GIAPPONE va un po’ meglio. I casi in tutto sono circa duecento (escludendo i 700 casi sulla nave Diamond Princess ancorata a Yokohama) e crescono al ritmo di 15-20 al giorno. Ma a Tokyo il vero incubo si chiama Olimpiadi. Non perché l’arrivo di tanti appassionati rischi di allargare l’epidemia, ma per il pericolo che esse saltino del tutto. «Abbiamo una finestra di tre mesi» ha detto il membro del comitato Richard Pound all’Associated Press. Se a maggio la situazione sarà ancora complicata «è molto probabile la cancellazione». La spesa pubblica giapponese per le Olimpiadi ammonta a circa dieci miliardi di euro, sette volte il budget previsto inizialmente, e secondo le stime più pessimiste arriverebbe a 25 miliardi, a cui bisogna aggiungere gli investimenti privati.

SE SALTASSERO LE OLIMPIADI, questa spesa andrebbe vanificata in un’economia che ha già dato netti segni di frenata. Per dare un segnale forte – anche troppo – e arrestare il virus, Abe ha deciso di chiudere le scuole giapponesi fino al mese di aprile. Come sappiamo bene in Italia, sono spesso i provvedimenti draconiani a spaventare davvero la popolazione e a dare il via a una spirale di allarmismo da cui è difficile riemergere.

DALL’ALTRA PARTE DEL PACIFICO, invece, il presidente Trump sparge ottimismo. “«l rischio per gli americani rimane molto basso. Qui abbiamo i migliori esperti al mondo». Ma nella stessa conferenza stampa la vicepresidente del Centro nazionale per il controllo delle malattie Anne Schuchat lo ha contraddetto: «ci aspettiamo altri casi».

Pochi minuti dopo è arrivata la notizia del primo contagio americano che non ha legami diretti con altre zone a rischio. Si sa solo che il paziente vive nella California settentrionale e ora è curato all’ospedale dell’università della California a Davis. Il suo caso sembra la classica crepa che anticipa il crollo: il paziente non ha viaggiato, dunque potrebbe essere il segnale di un focolaio statunitense già attivo. Inoltre la diagnosi è arrivata con giorni di ritardo a causa delle regole federali che impongono il test solo a chi arriva dalla Cina e alla disorganizzazione della sanità statunitense. Le persone sotto sorveglianza in California sono 8.400 ma il governatore democratico Gavin Newsom ha lamentato le poche centinaia di kit diagnostici disponibili nello stato, «semplicemente inadeguate».

SULLA «PREPAREDNESS» degli Usa molti esperti hanno dubbi. Le strutture in grado di effettuare i test sono presenti solo in cinque stati, in un paese che ha una superficie doppia rispetto a quella dell’Ue. Inoltre, il primo lotto di test riportava un difetto di fabbricazione che ha costretto i sanitari a cestinare i risultati ritenuti inaffidabili e a ripetere il test. Wall Street, in calo per sei giorni consecutivi, rappresenta un termometro della fiducia che gli Usa nutrono nella capacità di gestire un’eventuale crisi da parte di Trump. Secondo uno studio della Capital Economics, il coronavirus avrà ripercussioni economiche attualmente imprevedibili. «Ma non è difficile immaginare uno scenario simile a quello della crisi del 2008, in una situazione pandemica».
Se le previsioni più fosche si avverassero, l’epidemia potrebbe riaprire i giochi per la Casa Bianca a favore di Sanders.

* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto[1]

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