Grecia, scontri e manifestazioni sulle isole: «No ai centri per migranti»

by Giansandro Merli * | 27 Febbraio 2020 9:40

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Diverse le anime in piazza e le ragioni alla base della protesta, ma tutti concordano: «Le isole vanno evacuate»

Sulle isole greche di Chios e Lesvos è scoppiato il caos. Da lunedì notte non si fermano scontri, manifestazioni e scioperi contro l’arrivo di centinaia di celerini dalla terraferma. Nei giorni scorsi il governo di Nea Dimokratia, guidato da Kyriakos Mitsotakis, aveva espropriato con procedimenti d’urgenza i terreni per realizzare gli annunciati centri di detenzione in cui rinchiudere i profughi che arrivano dalla Turchia. Contro l’ostilità delle popolazioni locali, ha inviato due navi cariche di circa 600 agenti, idranti ed escavatori. «Nemmeno i colonnelli avevano fatto arrivare così tanta polizia dalla terraferma», racconta Alexandros Petrou, che vive e lavora nel principale centro abitato di Chios. Da subito è stato il panico, con i residenti inferociti che hanno provato a impedire gli sbarchi.

Raphael Knipping@RaphaelKnipping

After the decision of the Government to build closed Detention Centers on the Island of ; locals yesterday blocked the Harbour of with garbage trucks to prevent 200 riot police + gear from getting off the ferry

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«CI SONO STATI TAFFERUGLI intorno al porto di Mytilini – racconta Zaxaroula Verizi, operatrice di una Ong a Lesvos – C’erano circa 1.500 persone. Il municipio ha schierato i camion per bloccare le strade. Gli agenti hanno caricato». A Lesvos l’area in cui dovrebbe sorgere il centro di detenzione si trova vicino al villaggio di Mantamados, famoso per un monastero dedicato all’Arcangelo Michele e la forte presenza del partito comunista greco (Kke). Martedì la polizia è stata attaccata dai due lati del presidio, per ore. Ha risposto con un fitto lancio di gas lacrimogeni che hanno incendiato un bosco. Ieri l’isola si è completamente fermata per uno sciopero e un grande corteo. Gli agenti si sono dovuti ritirare nell’area militare di Pagani, ma anche questa è stata immediatamente circondata e presa d’assalto, con scene di guerriglia urbana poco comuni sulle isole.
A Chios, intanto, nel pomeriggio decine di residenti avevano invaso il resort Erytha, in località Karfàs, dove alloggiavano i celerini. Diversi di loro sono stati picchiati, mentre i relativi oggetti personali venivano gettati in strada o in mare.

SULLE DUE ISOLE gli abitanti sono contrari alla costruzione delle strutture detentive. La composizione delle mobilitazioni, però, è diversa e al loro interno convivono motivazioni variegate. A Lesvos c’è una presenza della sinistra partitica e delle realtà antagoniste di base, mentre a Chios la componente organizzata più forte è di ultradestra (con un aggressivo gruppo del partito neonazista di Alba Dorata). C’è chi è contro i centri di detenzione per motivi razzisti e nazionalisti e c’è chi non li vuole per solidarietà con i rifugiati. Tutti però sono d’accordo sul fatto che non devono essere costruiti e che le isole vanno evacuate. Cosa che hanno chiesto più volte gli stessi migranti, intrappolati da anni in condizioni di vita indegne.

LA LORO PRESENZA ha raggiunto numeri insostenibili per territori così piccoli. Secondo l’equivalente greco del ministero dell’Interno il 24 febbraio tra Lesvos, Chios, Samos, Leros e Kos c’erano 42.568 profughi (poco più di 200 mila i residenti complessivi). La capienza nelle strutture di accoglienza, però, è di soli 8.816 posti. La situazione è il riflesso più estremo delle politiche europee che in questi anni hanno scaricato sui paesi dell’Europa mediterranea il contenimento dei flussi migratori. «Molti abitanti di Chios ritengono che le isole siano state sacrificate dall’Ue e da Atene», dice Petrou.

IN SERATA IL PREMIER Mitsotakis ha espresso la volontà di ritirare gli agenti. Oggi dovrebbe incontrare il governatore della regione dell’Egeo del Nord e i sindaci delle isole. Per il governo greco si tratta della prima vera crisi politica, proprio in territori che hanno votato massicciamente il partito conservatore, ammaliati delle promesse di chiusura delle frontiere e allontanamento dei migranti.

* Fonte: Giansandro Merli, il manifesto[1]

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