Il virus ferma le fabbriche a Lodi e Milano

by Massimo Franchi * | 23 Febbraio 2020 9:16

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A casa per almeno quindici giorni in cassa integrazione ordinaria. Ecco il «primo ma tempestivo intervento che possiamo mettere in campo e siamo pronti a predisporne altri qualora ve ne fosse la necessità», spiega la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo. L’epicentro dell’emergenza «Corona virus» infatti è una parte nevralgica del tessuto produttivo del paese. Nel Lodigiano sono concentrate imprese importanti: oltre alla Unilever – il gigante dell’agroalimentare e della chimica per l’igiene e casa – di Casalpusterlengo dove lavora il 38enne denominato «paziente uno» – ci sono tre sedi dell’Eni e della Saipem: Codogno (sede dell’ospedale «contaminato), la stessa Casalpusterlengo e Castiglione d’Adda.

Più piccola ma non meno colpita la Mae, l’azienda specializzata in impianti per fabbricazione di fibre di Fiorenzuola d’Arda nel piacentino con 70 dipendenti dove lavora il cosiddetto «paziente zero»: il tecnico rientrato dalla Cina il 21 gennaio e andato a cena con il paziente zero. In entrambe le ditte sono stati effettuati i tamponi a tutti i dipendenti con esiti al momento rassicuranti. Ma il tempo di incubazione costringe tutti ad usare il principio di cautela con una assai probabile quarantena. E con l’espandersi delle zone colpite va di pari passo l’allarme produttivo. Coinvolgendo tutte le multinazionali con sede a Milano: A2a, Ibm, Eni, Saipem, Pirelli, Salini Impregilo, PwC, Luxottica e anche le grandi banche come Unicredit.

Gli uffici del personale stanno contattando uno a uno i dipendenti che risiedono nei comuni in provincia di Lodi: l’indicazione è di rimanere a casa ed evitare il più possibile i contatti sociali.

Dal ritorno al lavoro di domani sarà smart working – il lavoro agile da casa – una delle soluzioni per chi ha mansioni che possono essere svolte da remota. Nelle sedi aziendali saranno rinforzate le procedure di controllo agli accessi, sia per l’ingresso di visitatori sia di fornitori provenienti dai comuni a rischio.

Nella manifattura invece si arriverà al blocco di molte produzioni. In questo caso il governo con la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha già anticipato che le aziende potranno ricorrere alla cassa integrazione ordinaria: «Insieme all’Inps abbiamo studiato le contromisure da adottare per i lavoratori delle aziende situate nelle aree interessate dalle ordinanze del Ministero della Salute. Una l’abbiamo già individuata ed è quella di concedere loro la Cassa integrazione ordinaria (Cigo): trattandosi di un evento imprevedibile, qual è questo, non c’è bisogno di una norma ad hoc».

Problemi di approvvigionamento delle materie prime e dei sistemi stanno poi colpendo gran parte delle aziende. Se Fca ha interrotto la produzione a Kragujevac già dal 15 febbraio – dove viene assemblata la Fiat 500L per mancanza dei sistemi audio e altre parti elettroniche che FCA importa dalla Cina – altre lo stanno prendendo in considerazione mentre sono bloccate tutte le trasferte per le aree a rischio dell’Asia.
Molte aziende di proprietà cinese – a partire da Zte – stanno già subendo problemi di mancanze di tecnici e quadri che vanno ad acuire le conseguenze dei dazi di Trump nei mesi scorsi.

Altri settori, legati a turismo, ristorazione, accoglienza e trasporti sono in difficoltà e registrano perdite di fatturato già rilevanti. Una situazione eccezionale che «non può reggere se protratta nel tempo», afferma Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio. Sarebbe importante «estendere – aggiunge – la cassa integrazione prevista dal fondo integrativo salariale anche alle piccole e micro imprese». Dalla presidente della Confesercenti, Patrizia De Luise, arriva la richiesta di un «tavolo di crisi al ministero dello Sviluppo economico per coordinare gli interventi e cercare di ridurre l’impatto su lavoratori ed imprese». La Confapi ha intanto inviato una lettera ai sindacati per chiedere un incontro per «varare insieme misure di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro». Condivide la posizione la segretaria della Cisl Annamaria Furlan che chiede al governo un piano nazionale di informazione e di prevenzione «sulla salute in tutti i luoghi di lavoro».

* Fonte: Massimo Franchi, il manifesto[1]

Immagine di leo2014 da Pixabay

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