Altri 900 morti per il virus in Italia. La Lombardia ricorre ai privati per i test

by Andrea Capocci * | 29 Marzo 2020 17:04

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A presentare il bollettino quotidiano è tornato Angelo Borrelli, capo dipartimento della Protezione Civile, dopo qualche giorno a letto con l’influenza. Le cifre comunicate ieri sera però non scostano molto da quelle di un giorno prima. Ancora molto elevato il numero dei decessi, quasi 900, che porta il totale a superare le diecimila unità. Praticamente identico al giorno prima il conto dei nuovi casi positivi al Coronavirus, quasi 6 mila su 35 mila tamponi effettuati. Porta il totale dei casi a 92474 (+6%) e quello degli «attualmente positivi» (cioè i malati meno le guarigioni e le vittime) a 70 mila. Tra questi, in terapia intensiva ci sono 3800 persone, il 5% del totale e solo 120 più di venerdì.

PER FAR POSTO ai malati Covid-19 più gravi, 40 pazienti con altre patologie sono stati trasferiti in altre regioni con gli elicotteri della centrale remota delle operazioni di soccorso sanitario. Ben 6 sono partiti per l’ospedale di Colonia, in Germania. Sono 7714 gli infermieri che si sono offerti per andare ad aiutare i colleghi nelle regioni del nord. Dopo una rapida selezione, dal primo aprile il contingente sarà inviato alle regioni.

Con tutte le cautele del caso, fanno sperare i dati relativi alla Lombardia. Scendono i nuovi casi (2117) nonostante siano arrivati i risultati di seimila tamponi. Nella regione si registrano solo 27 nuovi ricoveri in terapia intensiva. Il totale delle persone attualmente malate nella regione sale di circa 600, anche perché molte muoiono (541 ieri) o guariscono (961). A Milano, dove si teme lo scoppio di un focolaio che sarebbe difficile da gestire, i casi delle ultime 24 ore sono 314, meno dei 547 del giorno prima. Per aumentare ancora il numero di test effettuati, che ogni giorno sono al massimo 5 mila più esiti arretrati che vengono man mano aggiunti ai dati, la regione ricorre ai privati.

«Abbiamo fatto un’ulteriore richiesta al numero di laboratori privati di darci una mano», con l’aiuto dei privati «potremmo arrivare a 7-8 mila ma non di più», ha detto l’assessore al Welfare lombardo Giulio Gallera.

GLI AUMENTI percentuali dei casi positivi maggiori si registrano nelle regioni del sud: +20% in Basilicata, +18% in Sardegna, + 13% in Molise e +12% in Calabria. Ma anche le zone alpine ospitano piccoli focolai in rapida espansione: salgono del 13% in un giorno i casi in Val D’Aosta e raddoppiano in 48 ore a Cortina D’Ampezzo. È verosimile che ci sia un legame con le trasferte di febbraio per le settimane bianche, visto che anche Trentino e Alto Adige ospitano focolai attivi.

NEL RESTO DEL VENETO i casi crescono nella media nazionale. Eppure il governatore Luca Zaia gonfia il petto per difendere il suo “modello”. «Siamo riusciti, tramite Aifa, a far passare il protocollo della sperimentazione dei farmaci precoci già a domicilio», annuncia Zaia. In Regione partirà anche la sperimentazione del farmaco giapponese Avigan, la cui efficacia finora è attestata solo da un video su Youtube. Si sperimenta anche sui test: una nuova macchina olandese «da 40 mila euro» permetterà di accelerare le diagnosi e arrivare a eseguire in Regione 20 mila test al giorno dai 5 mila che si fanno oggi. Sui test anche l’Emilia Romagna prevede di effettuare nuovi test sierologici per individuare gli anticorpi del coronavirus. «È il modo in cui cominceremo a testare operatori sanitari e socio-sanitari a prescindere che siano sintomatici e asintomatici», ha detto il commissario regionale per l’emergenza coronavirus Sergio Venturi.

AL MODELLO VENETO guardano anche un centinaio di scienziati di varie discipline che hanno firmato e un appello scritto dal giurista Giuseppe Valditara, già senatore di Alleanza Nazionale e influente sottosegretario all’università in quota Salvini nel primo governo Conte. «Le attuali misure di contenimento sono senz’altro importanti, e vanno fatte rispettare rigorosamente, ma non è pensabile tenere bloccato un Paese ancora per diversi mesi», scrivono i firmatari. E invocano anche «l’avvio di una politica di geolocalizzazione che deroghi temporaneamente alle norme sulla privacy».

* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto[1]

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