America latina. A rischio Indios e 200 milioni di poveri

by Claudia Fanti * | 22 Marzo 2020 19:12

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Con un numero di casi di contagio da Covid-19 ancora abbastanza contenuto (circa 2.400, con 23 decessi in tutto) ma in rapida crescita (1678% in più in una settimana), l’America latina rischia di andare incontro a una catastrofe. Già provata, dal punto di vista sanitario, da una delle epidemie di dengue più gravi degli ultimi anni, con oltre 3 milioni di casi e più di 1.500 morti (nell’anno in corso i contagi sono già più di 600mila e le vittime 156), la regione si sta avviando lentamente verso la paralisi economica, benché la quarantena obbligatoria nazionale non sia stata ancora decretata dappertutto, né con la stessa intensità.

LE CONSEGUENZE del lockdown su milioni di lavoratori informali – oltre il 50% della popolazione attiva, che sale a circa l’80% in paesi come Honduras, Guatemala, Nicaragua e Bolivia – sono tuttavia pesantissime. Perché, nel caso in cui non si adottino significative misure di sostegno, decisamente più forti di quelle finora messe in campo dai governi, i circa 200 milioni di abitanti che vivono al di sotto della soglia della povertà, e che di certo non hanno accesso allo smart working né possono fare acquisti su Internet, preferiranno comunque esporsi al rischio di contagio che restare a casa a soffrire la fame.

E se è vero che, per tenere le persone nelle proprie abitazioni, i governi possono sempre ricorrere all’uso della forza, la presenza in strada di polizia ed esercito, in una regione in cui è in corso da tempo una serie di proteste sociali, rischia di accentuare ancor di più le tensioni. Tanto più perché, per alcuni governi, l’attuale crisi sta già offrendo un eccezionale pretesto per recuperare il controllo sociale.

Non a caso, in Cile, è già slittato il plebiscito sulla nuova Costituzione, che non si terrà più il 26 aprile, ma il prossimo 25 ottobre, mentre l’elezione dei costituenti è stata rinviata addirittura al 4 aprile del 2021. E lo stesso destino attende con ogni probabilità le cruciali elezioni generali in Bolivia, che erano previste per il 3 maggio, a tutto vantaggio, naturalmente, del governo golpista di Jeanine Añez, del cui presunto carattere «strettamente transitorio» non è più rimasta alcuna traccia.

Grandissima preoccupazione suscitano anche i territori indigeni, con la loro cronica carenza di infrastrutture sanitarie, l’alto livello di denutrizione e un limitato accesso all’acqua potabile.

Se per tante famiglie indigene rurali del Guatemala, del Perù, del Messico e di altri paesi è già un problema garantirsi un’alimentazione decente, diventa addirittura improponibile rifornirsi di mascherine e disinfettanti, come persino, in molti casi, lavarsi spesso le mani con acqua e sapone. Né è un buon segno che in Perù ci siano voluti giorni per tradurre le istruzioni per la prevenzione del contagio nelle diverse lingue originarie.

ASSAI CRITICA anche la situazione dei popoli indigeni del Brasile, dove il Consiglio indigenista missionario ha raccomandato persino ai propri missionari di evitare le visite ai villaggi e di cancellare qualsiasi incontro, proprio per non esporre a possibili contagi comunità estremamente vulnerabili, tanto più a fronte dei drastici tagli alla Segretaria speciale di salute indigena decisi dal governo. Ma intanto si ha già notizia di un sospetto caso di positività di un’indigena pataxó nel villaggio Coroa Vermelha, nel sud di Bahia.

TRA LE SITUAZIONI potenzialmente più esplosive c’è poi anche quella di Haiti, dove il 19 marzo si sono registrati i primi due casi di positività al Covid-19. In piena crisi politica, nel totale vuoto istituzionale, senza risorse e con un sistema sanitario praticamente inesistente, la popolazione haitiana è di fatto abbandonata a se stessa. Al punto che ieri molti bambini si sono presentati a scuola, malgrado la sospensione delle lezioni decisa il giorno precedente dal governo di Jovenel Moïse, perché i loro genitori non erano stati informati.

Né Haiti può contare sull’aiuto della Cina, imprescindibile per altri paesi della regione, avendo il governo optato per mantenere relazioni diplomatiche con Taiwan, a scapito di quelle con Pechino.

* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto[1]

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