CuraItalia. Col decreto requisita la sanità privata ma con congruo indennizzo

CuraItalia. Col decreto requisita la sanità privata ma con congruo indennizzo

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Il decreto legge «CuraItalia» prevede il rafforzamento delle strutture sanitarie per far fronte all’emergenza coronavirus. Il decreto autorizza l’assunzione a tempo determinato di un centinaio di medici, lo snellimento delle procedure per facilitare la costruzione di nuove strutture ospedaliere temporanee e l’acquisto di un maggior numero di prestazioni da parte delle strutture private accreditate fino a 240 milioni di euro in più.

Ma le misure che più colpiscono solo quelle straordinarie che consentono al sistema sanitario nazionale di trasferire direttamente in ambito pubblico risorse umane e materiali private. Su richiesta delle regioni, le strutture private dovranno mettere a disposizione il proprio personale per le attività sanitarie connesse all’emergenza. In pratica, un medico attivo in una clinica privata dovrà essere trasferito in un ospedale pubblico, se la regione lo riterrà necessario. Per questi trasferimenti le regioni potranno spendere fino a cento milioni.

Le imprese private della sanità potranno anche vedersi espropriati «i locali e le apparecchiature disponibili», «in uso o in proprietà» per aggiungere posti letto specializzati nei reparti di pazienti affetti da Covid-19. La possibilità di requisire ospedali e cliniche private da parte della sanità pubblica durerà fino al 31 luglio 2020, termine in cui dovrebbe finire lo stato di emergenza proclamato finora. Se l’emergenza dovesse proseguire, è verosimile che sia lo stato di emergenza che la possibilità di requisire i locali siano prolungati.

L’esproprio ovviamente non sarà gratuito per lo Stato: i proprietari delle strutture requisite riceveranno un indennizzo «pari al 100 per cento di questo valore».

Le requisizioni non riguarderanno solo le strutture ospedaliere. In base alla nuova norma, anche i prefetti potranno intraprendere «la requisizione in uso di strutture alberghiere, ovvero di altri immobili aventi analoghe caratteristiche di idoneità, per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare». I proprietari verranno indennizzati ai prezzi di mercato, come nel caso degli ospedali.

In realtà potrebbe essere un’arma spuntata contro il Covid. Le strutture che la sanità privata può mettere a disposizione sono distribuite in modo diseguale sul territorio, e in gran parte sono già state sfruttate. La risorsa più preziosa oggi è rappresentata dai posti letto in terapia intensiva. Quelli privati sono circa 800 su 5300, circa il 15% del totale, e sono concentrati in pochi territori.

In teoria, la Lombardia è una delle regioni in cui le strutture private hanno la maggiore disponibilità. Secondo i dati del 2018, gli ospedali accreditati e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Ircss) privati in Lombardia hanno a disposizione oltre 300 posti letto, cioè il 38% della dotazione totale della regione, e 200 sono già utilizzati per il Covid-19.

Gli ospedali hanno già potenziato le dotazioni ordinarie fino al 40%, ma ormai i letti scarseggiano anche nei «blocchi Covid» realizzati a tempo record. Quelli che verranno messi a disposizione al San Raffaele di Milano (una cinquantina) verosimilmente basteranno solo per pochi giorni.

Ma la regione più dipendente dall’imprenditoria sanitaria è la Puglia, dove il 40% dell’offerta di posti letto in terapia intensiva è fuori dal perimetro pubblico. Il 25% del totale, ad esempio, è appannaggio dell’ospedale di S. Giovanni Rotondo fondato da Padre Pio.

Nel resto d’Italia le percentuali sono molto diversificate. È alta l’incidenza della sanità privata nel Lazio, con il 36% dei posti letto di terapia intensiva. Si tratta di ospedali già molto integrati nel sistema pubblico e con cui la Regione Lazio proprio ieri ha stipulato accordi per mille posti letto (non solo di rianimazione). Anche in Emilia Romagna e Campania il privato può dare un contributo sostanziale: i posti letto di rianimazione sono il 17% e l’11% rispettivamente. Nel resto d’Italia le strutture pubbliche detengono un sostanziale monopolio dei posti letto salva-vita, e il privato non sarà d’aiuto.

* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto



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