In Italia ieri record mondiale di decessi. Rebus Lombardia

by Andrea Capocci * | 11 Marzo 2020 9:08

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Codice rosso.  Parlamento chiuso per una settimana

Diventa difficile capire se l’epidemia frena, se salta il sistema di comunicazione. Durante il quotidiano appuntamento con la stampa, il commissario della Protezione civile Angelo Borrelli e il direttore dell’Istituto superiore di sanità (Iss) Silvio Brusaferro hanno riportato dati parziali riguardo alla Lombardia, in cui si trovano oltre la metà dei casi di Covid di tutta Italia. «Non ci è stata detta l’entità dei test mancanti», si è scusato Borrelli. Il dato dei 169 morti, anche se fosse parziale, basta a far dell’Italia il paese che ieri ha registrato più decessi al mondo. Il numero di casi registrati ha superato le diecimila unità. Senza dati definitivi è difficile valutare l’impatto delle ordinanze. Salvo correzioni, però, per la prima volta a Codogno non ci sono stati nuovi casi. «La zona rossa di Lodi e Codogno è l’unica zona in cui l’evoluzione dell’infezione si sta invertendo e si sta riducendo», ha commentato Fontana.

LE REGIONI DI CUI SI CONOSCONO le cifre non suggeriscono ottimismo. Il dato più preoccupante è sempre quello delle terapie intensive: se collassano i reparti di rianimazione anche le altre emergenze, come quelle cardio-circolatorie, non potranno essere affrontate e ne pagheremmo le conseguenze tutti.
Molti reparti sono al limite della saturazione, Lombardia, Emilia-Romagna e alcune province delle Marche in primis. Liguria, Piemonte hanno registrato aumenti dei pazienti in terapia intensiva superiore al 30% in un solo giorno. In Toscana sono addirittura quadruplicati.

Il piccolo trend al miglioramento iniziati nei giorni scorsi sembra essersi fermato, almeno per i malati più gravi. Il pericolo ora è che nel nord ci siano effetti a cascata perché se tutte le regioni entrano in crisi salta anche il meccanismo che permette di trasferire fuori regione alcuni pazienti (ieri è successo a 5 di loro). In mancanza dei dati lombardi, l’interpretazione è necessariamente parziale.

Se la Protezione Civile non distribuisce dati affidabili, dal canto suo l’ISS sforna cifre e analisi a ritmo quotidiano. L’età mediana dei malati è di 65 anni e sono maschi nel 62% dei casi. Smentita la bufala dell’immunità dei più giovani: l’11% dei positivi ha meno di 40 anni, e un altro 11% ne ha tra i quaranta e i cinquanta. Se un solo paziente è morto con meno di cinquant’anni, dipende solo dalla maggiore resistenza dell’organismo. Stupisce il numero di operatori sanitari contagiati: ben 583, pari al 7% circa del totale. I pazienti in terapia intensiva hanno un’età media di 69 anni e rappresentano il 10% del totale delle persone attualmente positive. In nessuno dei casi positivi in Italia è stato riconosciuto un legame diretto con la Cina, salvo i turisti cinesi ricoverati a Roma e il ricercatore italiano rientrato da Wuhan. Se la macchina della comunicazione talvolta si inceppa, lo sforzo di trasparenza va invece riconosciuto: dati così dettagliati in Cina sono stati comunicati con molto ritardo, circa due mesi dopo l’inizio dell’epidemia e quando i casi erano oltre 44 mila.

NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI, i numeri finora hanno riguardato perlopiù gli addetti ai lavori e il coronavirus si è trasformato in un’emergenza nazionale solo negli ultimi giorni. Con il primo caso a Cipro ora il contagio è ufficialmente in tutta Europa. Ieri la Spagna ha visto aumentare i casi di circa un terzo e ora sono oltre 1600, metà dei quali a Madrid. Un deputato dell’estrema destra di Vox è positivo e il parlamento chiude per una settimana. Vietati anche gli assembramenti con oltre mille persone. In Danimarca i casi sono triplicati in 24 ore e in tutto sono 262. I numeri sono molto diversi da paese a paese ma in quelli più grandi come Spagna, Francia e Germania i casi crescono alla stessa velocità di quelli italiani, solo con una settimana di ritardo.

SIMILI ANDAMENTI non generano la stessa risposta. Gli allarmi in Germania e Francia sono molto localizzati. «Ci siamo mossi in anticipo, siamo preparati», ha detto Macron. Le scuole, invece, sono chiuse in Grecia e Repubblica Ceca, ad esempio, dove i casi sono meno di cento. Diventano così tredici i paesi che hanno chiuso tutte le scuole per frenare il contagio. Secondo l’Onu, nel mondo 290 milioni di studenti non possono andare a scuola a causa del coronavirus.

* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto[1]

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