Che razza di festa! Strage sul lavoro: ieri due morti, già 98 per Covid

by Massimo Franchi * | 1 Maggio 2020 10:25

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Chissà cosa avrebbero detto a Renzi – che tira in ballo quelli di Bergamo e Brescia per Covid19 che chiederebbero di «ripartire» – i due morti sul lavoro di ieri o l’operaio dell’Ilva di Taranto suicida. La ripartenza, la fase 2 è già nei numeri, a partire da questi. Il tutto mentre l’Inail certifica ben 28mila denunce di contagi Covid19 sul lavoro e almeno 98 morti, aggiornati al 21 aprile.

PENSARE CHE LA PANDEMIA e il lockdown potessero far diminuire i morti sul lavoro si sta rivelando una pia illusione. La striscia di sangue non si è mai interrotta e anzi ora sembra riacellerare. Solo ieri un operaio è morto ad Ariano Irpino, durante i lavori di manutenzione di un cavalcavia Anas in contrada Torreamando. L’uomo, 38enne del posto, è stato travolto da una trave che si è staccata dalla gru.
Nel pomeriggio invece un uomo di 47 anni è morto a Torniella, nel comune di Roccastrada (Grosseto) dopo una caduta da cinque metri di altezza. L’uomo stava potando un albero, la caduta a terra è stata rovinosa ed è purtroppo deceduto poco dopo.

Non rientrerà invece nella casistica l’operaio dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal di Taranto che si è tolto la vita nella sua abitazione, alla vigilia del suo 44esimo compleanno. L’Usb sottolinea che il lavoratore «fu affetto da un disturbo depressivo proprio durante il periodo del passaggio da Ilva ad ArcelorMittal. Per noi era un compagno, un amico, un collega, sempre in prima linea sui problemi legati alla fabbrica, lottava a nostro fianco partecipando attivamente a tutti gli scioperi, assemblee e dibattiti. Ha deciso di farla finita lasciando moglie e figli a cui va il nostro cordoglio». «È una tragedia che ci lascia tutti sgomenti, una sconfitta per tutti», ha scritto su twitter la Segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan.

Un operaio è deceduto in un cantiere su un cavalcavia Anas ad Ariano Irpino. Un altro è caduto da un albero che stava potando a Roccastrada (Grosseto)

Proprio ieri l’Inal ha reso noto i dati su questi mesi di pandemia. L’Inail ha già ricevuto oltre 28mila denunce di infortuni per contagio da Covid 19 con 98 casi mortali.

QUASI LA METÀ DEGLI INFORTUNI da contagio (45,7%) riguarda infermieri e altri tecnici della salute, seguiti da operatori socio-sanitari (18,9%), medici (14,2%) e operatori socio-assistenziali (6,2%). Il 67,8% delle 28mila denunce di infortunio arriva dalle quattro regioni più colpite dal Covid19: la Lombardia è la prima per denunce con il 35,1%, seguita dal Piemonte con il 13,4%. L’Emilia Romagna è terza con il 10,1% mentre il Veneto segue con il 9,2%.

I CASI MORTALI DA CONTAGIO sono stati 52 a marzo e 46 ad aprile, con dati conteggiati fino al 21 – mentre la Federazione degli Ordini sanitari medici stima in 150 i medici e 40 gli infermieri per un totale di 190.
I sindacati in queste settimane hanno però spesso contestato a Inail la difficoltà di far rientrare i casi di Covid19 in infortuni sul lavoro.

Nel complesso i 98 casi di morti denunciati sono però solo il 40% del totale dei decessi sul lavoro denunciati nel periodo preso in esame.

Prendendo in considerazione le diverse attività produttive, il settore della sanità e assistenza sociale – in cui rientrano ospedali, case di cura e case di riposo – registra il 72,8% dei casi di contagio sul lavoro. Il 71,1% dei contagiati sul lavoro sono donne e il 28,9% uomini, con un’età media di poco superiore ai 46 anni (46 per le donne, 47 per gli uomini). Tra gli infermieri e gli altri tecnici della salute, in particolare, più di tre denunce su quattro sono relative a lavoratrici. Il 12,6% dei casi riguarda invece lavoratori stranieri, tra i quali la percentuale delle donne è pari all’80%, molto probabilmente badanti. Concentrando l’attenzione sui 98 casi mortali denunciati, il rapporto tra i generi si inverte. I decessi dei lavoratori, infatti, sono stati 78, quelli delle lavoratrici 20, con un’età media pari a 58 anni sia per gli uomini che per le donne.

L’INAIL RICORDA COMUNQUE che questi dati sono provvisori e il loro confronto con quelli rilevati dall’Istituto superiore di sanità «richiede cautela». La platea Inail – spiega l’istituto – si riferisce solo ai lavoratori assicurati e non comprende quindi, ad esempio i medici di base, i medici liberi professionisti e i farmacisti.

«I nostri dati – spiega il presidente dell’Inail Franco Bettoni – confermano la maggiore esposizione al rischio del personale sanitario, al quale l’Istituto riconosce la presunzione semplice di origine professionale dell’infezione».

* Fonte: Massimo Franchi, il manifesto[1]

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