Guerriglia urbana a Minneapolis per l’omicidio di George Floyd

Guerriglia urbana a Minneapolis per l’omicidio di George Floyd

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LOS ANGELES. Per la seconda notte consecutiva Minneapolis è stata sconvolta da guerriglia urbana con scontri anche violenti fra manifestanti e polizia. Con una vittima: un uomo è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco, si pensa dal proprietario di un negozio di pegni che immaginava un saccheggio. La polizia lo avrebbe posto in custodia.

La rabbia è esplosa dopo la diffusione lunedì del video via Facebook Live che ha registrato gli ultimi istanti di vita di George Floyd, 47 anni, morto con le mani legate dietro la schiena e la faccia sul marciapiede mentre il ginocchio di un poliziotto gli stritolava l’ultimo respiro dal collo. Nel video registrato da un passante si sente Floyd implorare con l’ultimo filo di voce «Non respiro…vi prego», prima di perdere conoscenza e non rinvenire più. Il video, subito virale, è andato a ingrossare la sempre più voluminosa documentazione audiovisiva di uomini neri pestati e uccisi dalle forze dell’ordine. Ha scosso l’America.

I manifestanti hanno eretto barricate per le strade, infranto vetrine, appiccato numerosi incendi e assalito almeno un grande magazzino Target improvvisando l’esproprio di varia mercanzia. I reparti antisommossa hanno riposto con lacrimogeni, granate stordenti, cariche e proiettili di gomma. Un’azione di Black Lives Matter a Los Angeles ha brevemente invaso e bloccato la Hollywood Freeway.

Nell’America stremata dai rancori e dall’astio esasperati dalla Casa bianca, l’uccisione di Floyd ha fatto riesplodere violentemente la questione razziale. Il governatore del Minnesota ha biasimato l’operato della polizia e ha invitato alla calma. L’ex candidata presidenziale Kamala Harris ha parlato di inaccettabile «esecuzione pubblica».

Lo stesso sindaco di Minneapolis, Jacob Frey, ha auspicato una spedita procedura penale contro i responsabili. «Come è possibile che l’uomo che ha ucciso George Floyd non sia in prigione? – ha chiesto Frey su Twitter – Se aveste fatto lo stesso voi, o l’avessi fatto io, a quest’ora saremmo dietro le sbarre». Ieri il sindaco ha chiesto l’intervento della Guardia nazionale per frenare gli scontri e invitato i suoi concittadini alla calma. Parla anche l’Onu: la commissaria per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha fatto appello agli Usa perché fermino gli omicidi di afroamericani.

In realtà a Minneapolis è andata in scena l’ennesima replica di un macabro serial che sembra davvero non avere fine e che propone sempre le stesse immagini sin dai tempi di Rodney King. E in questo caso quelle parole, «…I can’t breathe…», hanno fatto eco a quelle sussurrate da Eric Garner, il venditore di sigarette strangolato dai poliziotti a Staten Island nel 2014.

Floyd le ha pronunciate nella liberale Minneapolis – città gemella di St Paul, dove nel 2016 la stessa polizia aveva crivellato con sette colpi Philando Castile, 32 anni, mentre mostrava le mani all’agente-giustiziere per mostrare di non essere armato. Quell’agente, come sempre, è stato regolarmente assolto. «Non respiro» era diventato uno slogan di Black Lives Matter e dopo il caso Garner apparve vistosamente anche sulle maglie che LeBron James e molti altri giocatori della Nba indossarono in segno di solidarietà.

James è sceso in campo anche stavolta contro l’ennesima brutale ingiustizia e ha colto l’occasione per ricordare le ragioni del proteste degli atleti afroamericani, twittando la foto di Kolin Kaepernick inginocchiato per protesta accanto a quella dell’agente con il ginocchio sulla trachea di Floyd. Per la sua pacifica militanza Kaepernick era diventato oggetto di violenti attacchi da parte di Trump, giunto a farlo radiare dalla lega Nfl.

Il caso Floyd arriva solo un paio di settimane dopo la diffusione di un altro macabro video che documenta l’uccisione di Ahmaud Arbery. Il venticinquenne afroamericano stava facendo footing a Satilla Shores, località benestante vicino Savannah, Georgia, dove le languide mangrovie ricordano piantagioni Southern Gothic.

Le immagini del video caricato in rete tre settimane fa rimandano invece ai linciaggi del vecchio Sud: due uomini a bordo di un pickup inseguono il giovane. Lo affiancano, uno dei due salta dal pianale e affronta l’uomo con una carabina. Quando questo reagisce, parte un colpo a bruciapelo e Arbery stramazza senza vita.

Il fatto in realtà risale a febbraio ma era stato messo a tacere dalla polizia che non aveva arrestato gli uomini. «Pensavamo fosse un ladro e lo volevamo arrestare», avevano dichiarato. Solo l’indignazione seguita al video ha provocato il loro arresto (uno è consulente del procuratore locale) e l’apertura di un’inchiesta federale.

Per entrambi i casi si dovrà ora attendere l’esito delle inchieste per sapere se potrà esserci giustizia. Sul caso Floyd indaga l’Fbi, il dipartimento di Giustizia l’ha definita «una priorità». Sarebbero eccezioni: a sei anni dalle rivolte di Ferguson seguite all’uccisione di Michael Brown, gli omicidi di polizia proseguono impuniti allo stesso ritmo di un migliaio circa all’anno. E adesso la polizia non potrebbe avere un amico migliore alla Casa bianca. Mentre i neri muoiono di Covid-19 a un tasso triplo di quello dei bianchi.

Le immagini raccapriccianti degli ultimi video hanno rammentato al paese una cancrena antica, sedimentata in una storia violenta che oggi riaffiora sullo sfondo di un regime che di quella storia e di un’implicita restaurazione bianca ha fatto una bandiera.

* Fonte: Luca Celada, il manifesto



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