Repressione in Egitto. Arrestata e poi rilasciata la giornalista Lina Attalah

by redazione | 19 Maggio 2020 9:13

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Arrestata e poi rilasciata su cauzione dopo quasi 12 ore e un clamore internazionale che forse le autorità egiziane non si aspettavano: si chiude così, con una buona notizia, la giornata di domenica per Lina Attalah, 37enne direttrice del portale di informazione.

È quasi mezzanotte quando la giornalista, sguardo stanco e mascherina calata sotto il naso a nascondere un sorriso, lascia la stazione di polizia di Maadi e torna «sull’asfalto», come dicono gli egiziani, a piede libero, ma incriminata per aver «filmato una struttura militare senza autorizzazione».

La notizia aveva fatto in poche ore il giro del mondo, rimbalzata prima sui social e poi sui siti dei maggiori quotidiani globali. Mada Masr è infatti non soltanto uno dei pochissimi media indipendenti egiziani ancora in vita, ma rappresenta anche un modello di giornalismo di qualità che ne ha fatto una delle fonti essenziali di informazione sul paese nordafricano.

Malgrado il suo sito sia ormai da anni bloccato in Egitto e nonostante gli attacchi ripetuti (l’ultimo a novembre 2019, un raid negli uffici della redazione e l’arresto per alcune ore di diversi redattori), continua a produrre inchieste e approfondimenti fondamentali. Lina Attalah ha contribuito a fondarlo e ne è una delle forze trainanti.

Domenica, quando è stata arrestata, la giornalista stava semplicemente facendo il suo lavoro. Era andata davanti al carcere di Tora per intervistare Laila Soueif, l’attivista e professoressa universitaria che da settimane quasi ogni giorno presidiava l’ingresso del carcere nel tentativo di far entrare pochi beni essenziali per suo figlio Alaa Abdel Fattah, in sciopero della fame dal 12 aprile.

Disinfettante, salviette, vitamine, una soluzione reidratante, qualche medicina e una lettera: questo il contenuto del pacco che le autorità carcerarie per oltre un mese si sono rifiutate di far arrivare ad Alaa, tra i volti più noti della rivolta egiziana del 2011.

Poi ieri la notizia: con un biglietto scritto di suo pugno recapitato alla madre Alaa ha annunciato l’interruzione dello sciopero. Detenuto nel carcere di massima sicurezza di Tora 2 dal settembre 2019, l’attivista 38enne contestava l’assurda interruzione di ogni contatto con l’esterno, motivata dall’epidemia di Covid-19, e il prolungamento della sua detenzione senza una vera udienza di convalida.

Venuto a sapere che la custodia era stata rinnovata da un giudice, rientrando così almeno formalmente all’interno della legalità, Alaa avrebbe dunque deciso di riprendere gradualmente l’assunzione di cibo. «Soprattutto perché – aggiunge nella sua nota – non voglio che passiate l’Eid [festa islamica di fine Ramadan] preoccupandovi per me».

«L’ingiustizia continua e la lotta anche – ha scritto Ahdaf Soueif, nota scrittrice e zia di Alaa – Ma possiamo riprendere fiato». Ci sono voluti 36 giorni di sciopero della fame, l’arresto di una giornalista tra le più importanti in Egitto, innumerevoli denunce e giorni all’addiaccio sul marciapiede di fronte al carcere, ma forse alla fine queste poche persone, con la loro tenacia e grazie al vasto sostegno che hanno ricevuto, una piccolissima vittoria al regime sono riuscite a strapparla.

* Fonte: Pino Dragoni, il manifesto[1]

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