Molly Glasgow, attivista di MPD150: «Abusi e ingiustizie, vogliamo un mondo senza la polizia»

by redazione | 13 Giugno 2020 9:50

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Le mobilitazioni contro la violenza razzista della polizia che hanno travolto gli Stati Uniti durante le ultime due settimane hanno dato ossigeno al dibattito sulle radici strutturali della discriminazione e degli abusi. Viene infatti più volte ribadito come le origini della violenza poliziesca e suprematista vadano ricercate nella storia coloniale dell’Occidente.

Non è un caso che in diverse piazze internazionali le statue di colonizzatori e schiavisti siano state abbattute o decapitate proprio durante le manifestazioni degli ultimi giorni.

Molte attiviste ed attivisti, così come diverse organizzazioni comunitarie stanno infatti chiedendo di ridurre i finanziamenti ai dipartimenti di polizia, una riduzione, seppur minima rispetto ai budget esorbitanti, che è stata approvata dai sindaci di Los Angeles, New York, Washington e altre 13 metropoli.

Molte organizzazioni stanno invece chiedendo l’abolizione o lo smantellamento dei corpi di polizia. A Minneapolis, epicentro della rivolta, le scuole hanno già rescisso il loro contratto con la polizia locale e il consiglio comunale di Minneapolis si è impegnato pubblicamente per raggiungere l’obbiettivo dello scioglimento del dipartimento di polizia metropolitano.

MPD150 è un’organizzazione nata a Minneapolis che prende il nome dai 150 anni di esistenza del Minnesota Police Department, un secolo e mezzo di corruzione, razzismo, violenza anti-sindacale e collusione con milizie suprematiste. 150 anni di tentativi di riformare il corpo di polizia drammaticamente falliti.

MPD150 si batte quindi per costruire una società senza polizia, per spostare i fondi destinati alle forze dell’ordine per invece ampliare i servizi educativi, i centri anti-violenza e di salute mentale, per la prevenzione e la giustizia riparativa, per diminuire le disuguaglianze sociali e favorire l’intervento di esperti invece che degli agenti con equipaggiamento militare.

Una parte importante della violenza e degli abusi perpetrati dai poliziotti negli Stati Uniti avviene infatti in seguito a richieste di aiuto o in situazioni di vita quotidiana come a scuola o durante il lavoro.

Molly Glasgow, attivista di MPD150 e organizzatrice comunitaria delle Twin Cities – Minneapolis e St.Paul, ha risposto ad alcune domande riguardo il contesto in cui è nata la mobilitazione che ha ormai raggiunto una scala intercontinentale.

Con MPD150 vi occupate tra le altre cose di monitorare gli abusi e la violenza della polizia, come descriveresti il contesto dentro cui si è verificato l’omicidio di George Floyd?

L’omicidio di George Floyd è stato il frutto degli abusi della polizia, sì, ma la dinamica con cui Chauvin e gli altri due ufficiali lo hanno ucciso mentre un altro poliziotto stava in piedi a guardare illustra in modo esplicito quanto profondamente sia radicato il suprematismo bianco e l’anti-blackness nel dipartimento di polizia di Minneapolis e nell’intero sistema di polizia nazionale. Le forze di polizia statunitensi sono nate seguendo il modello della polizia metropolitana di Londra, il dipartimento progettato da Robert Peel ispirato al Royal Constabulary istituito sotto il dominio britannico nell’Irlanda occupata per controllare le rivolte delle popolazioni locali. Questa storia è continuata negli Stati Uniti con il genocidio delle popolazioni indigene attraverso la violenza coloniale e l’idea di proprietà e protezione della ricchezza bianca, importando l’idea di sceriffi e gendarmi. Il lavoro della polizia negli Stati Uniti iniziò con le pattuglie schiaviste composte da milizie locali e dai proprietari di schiavi che catturavano i neri che tentavano di liberarsi dal gioco dello sfruttamento coloniale. Questa è la storia da cui è nata la polizia e che continua a guidare le sue funzioni anche nel presente. Questa discriminazione razzista che privilegia la protezione della ricchezza e del capitale a discapito della vita delle persone continua ancora oggi.

Molti media riportano le mobilitazioni in termini di rivolte spontanee altri invece sottolineano il ruolo delle organizzazioni comunitarie, come descriveresti l’emergere delle proteste e il suo espandersi a livello nazionale?

La rivolta è radicata nel dolore e nella rabbia. Le comunità nera, di colore, indigena e migrante chiedono e lavorano per il cambiamento che stiamo vedendo da generazioni. Il sistema continua non solo a non dare valore alle vite nere, ma riproduce abusi e controlla in modo violento le comunità nere e il people of colour*.  Questo cambiamento è atteso da tempo e la gente ne ha avuto abbastanza. Il raccapricciante omicidio di George Floyd di fronte agli occhi di tutti i giovani, si è sommato alla costante ingiustizia economica e razziale, alle violazioni e all’impatto della pandemia globale, e tutto questo ha generato l’attuale mobilitazione. I giovani e gli anziani stanno aprendo la strada a un nuovo mondo, un mondo senza polizia.

Le comunità nere, people of colour, indigene e migranti sono tra le più colpite dal coronavirus, come viene gestita l’esigenza di proteggere i corpi dal virus e il bisogno di manifestare nelle strade?

Le persone hanno lavorato per prendersi cura di sé stesse, indossare maschere protettive e mantenere le distanze quando è stato possibile. È importante sottolineare che la comunità deve affrontare non solo un’emergenza virale che travolge la sanità pubblica ma anche un’emergenza razziale all’interno dello stesso sistema sanitario. Chiediamo quindi che i lavoratori con basso salario non vengano più sacrificati in nome del profitto economico a breve termine durante questa pandemia e che i corpi neri, di colore, indigeni e migranti vengano considerati allo stesso modo dei corpi bianchi.

Pensi che la condanna dell’agente Chauvin, responsabile dell’assassinio di George Floyd, possa essere una risposta esaustiva alle richieste di giustizia delle comunità nere di Minneapolis?

Finché esistiamo all’interno del sistema carcerario e poliziesco, gli agenti che uccidono e commettono abusi devono essere ritenuti responsabili e condannati. Quando riusciremo a costruire un futuro libero dalla polizia, allora aboliremo anche le prigioni e i sistemi punitivi. Una società libera dalla polizia soddisfa le esigenze delle persone ed è progettata e gestita da e per il popolo. La gestione comunitaria degli alloggi, dell’istruzione e delle crisi deve avere la priorità e ricevere le risorse necessarie per intervenire. Gli abitanti dei quartieri possono rispondere ai bisogni della comunità prestando particolare attenzione alla prevenzione, alla riduzione del danno e alla risoluzione dei conflitti. Stiamo costruendo reti di responsabilità che creano spazio per cambiamenti profondi e necessari all’interno del tessuto sociale. L’abbiamo visto con i nostri occhi durante le ultime due settimane, la comunità nera ha avuto successo nel proteggere le proprie case e le proprie attività, senza il supporto delle forze dell’ordine

Come interpretate l’annuncio del Consiglio comunale di Minneapolis riguardo lo smantellamento del distretto di polizia?

Il Consiglio comunale di Minneapolis si è impegnato pubblicamente, con un consenso tra la maggioranza dei suoi membri, a tagliare i fondi destinati al dipartimento di polizia e, usando le loro stesse parole, a “porre fine alle operazioni di polizia così come le conosciamo”. Il consiglio ha assunto questo impegno su un palco di fronte a centinaia di membri della comunità. Devono ancora votare ufficialmente. Questo annuncio è stato il prodotto di anni di organizzazione e delle rivendicazioni che la comunità ha espresso durante la rivolta, in particolare la gioventù nera che si impegnata in prima linea. Toccherà quindi continuare a organizzarsi nella comunità e mettere pressione affinché le loro parole e la nostra visione diventino realtà.

* people of colour è un espressione usata per indicare le minoranze non considerate bianche.

* Fonte: il manifesto[1]

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  1. il manifesto: https://ilmanifesto.it/

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