Covid-19. Europa senza unione, tra errori e ritardi, maglia nera tra i continenti

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Se tra i primi dieci Paesi del mondo per letalità del Covid-19 ben sette sono europei, una ragione c’è e si chiama «mancanza di coordinamento». È quanto documenta un’inchiesta pubblicata ieri dal quotidiano britannico The Guardian sugli errori commessi dall’Unione Europea nella risposta al coronavirus. A farne le spese è stata in primo luogo l’Italia, colpita prima e più duramente di tutti gli altri dalla pandemia.

UNA SETTIMANA DOPO i primi casi di Codogno, tramite il Common Emergency Communication and Information (la protezione civile europea) il governo italiano si rivolse agli altri paesi membri dell’Unione per ricevere aiuti sotto forma di mascherine e altri dispositivi di protezione. Ma non ricevette alcuna risposta: gli altri governi preferirono bloccare le esportazioni di mascherine per paura di rimanerne senza al momento del “loro” picco.

Non si tratta di uno scoop, perché il diniego fu ampiamente commentato già all’epoca. Ma è interessante osservare cosa avvenne dopo quel diniego. Già a metà gennaio, quando il virus era ancora in Oriente, la Commissione europea aveva elaborato un piano per garantire un approvvigionamento di dispositivi di protezione da smistare nei vari Paesi secondo il bisogno. Dopo il rifiuto degli aiuti all’Italia, quel programma avrebbe dovuto accelerare. Invece, la mancanza di coordinamento tra i governi e la debolezza di Bruxelles hanno frenato l’operazione. Alla fine, il primo carico di mascherine fornite dall’Unione Europea è arrivato solo l’8 giugno, a emergenza in gran parte superata.

Ma anche le primissime fasi erano state costellate di errori. A partire dalla riunione del 17 gennaio tra i ministri della sanità dei 27 stati membri. Obiettivo: concordare una strategia comune sulla sorveglianza epidemiologica alle frontiere. In quei giorni il Centro europeo per il controllo delle malattie consigliava di approfondire i controlli sui dodici voli settimanali da Wuhan verso gli aeroporti europei, visto che i termoscanner lasciano passare i due terzi dei casi positivi. La riunione avrebbe dovuto emanare linee guida condivise sulla questione. Peccato che 15 Paesi su 27 non parteciparono. Anche l’Italia figurava tra gli assenti: la mail di invito passò inosservata a Roma, scrive il Guardian, oppure non arrivò proprio, come sostengono oggi al ministero. In ogni caso, la riunione verbalizzò lo scarso interesse in una strategia comune da parte dei governi. Che da allora andarono spesso in ordine sparso, con operazioni improntate più alla ricerca del consenso che all’efficacia.

IL 31 GENNAIO, dopo che i primi due turisti cinesi erano risultati positivi a Roma, l’Italia chiuse per prima gli aeroporti ai viaggiatori dalla Cina: una decisione unilaterale, contraria alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. E soprattutto poco efficace: bastava fare scalo in altri aeroporti per aggirare il blocco aereo. Per la verità, il ministro italiano Roberto Speranza aveva chiesto maggiore sinergia ai colleghi. Il governo croato, presidente di turno dell’Unione, era però distratto dagli scandali finanziari che portarono alle dimissioni proprio il ministro della sanità del Paese balcanico. Il primo incontro tra i ministri si tenne solo il 13 febbraio.

IL SEGUITO È NOTO a tutti. La chiusura unilaterale delle frontiere tra i Paesi dell’area Schengen «fu una decisione sbagliata che creò un mucchio di problemi», dice al Guardian Janes Lenarcic, commissario europeo per la gestione delle emergenze. «Prima di tutto ha compromesso il flusso di merci, mettendo a rischio il mercato unico ma soprattutto la risposta al Covid-19, perché si trattava di merci essenziali come i dispositivi medici, per non parlare del cibo». Senza mascherine, ventilatori polmonari e tamponi a sufficienza è stato impossibile garantire la strategia delle tre T (test, tracciamento e terapia) raccomandata dall’Oms e attuata solo da chi ha potuto permettersela.

LA LEZIONE SIA utile almeno per prevenire una seconda ondata altrettanto devastante. Ricomporre la risposta alla pandemia, oggi frammentata tra sistemi sanitari in concorrenza tra loro, è un’urgenza europea. Il turno di presidenza della Germania, forse il Paese che ha saputo affrontare il coronavirus meglio di tutti, sarà valutato anche su questo.

* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto

 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay



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