Libia, l’Italia proroga la missione militare e i finanziamenti al Ma il sì è bipartisan

by redazione | 8 Luglio 2020 10:00

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Alla fine è sì, la proroga delle 41 missioni che impegnano 8.613 militari italiani in tutto il mondo viene approvata dall’aula del senato. Ma dal pomeriggio di discussione rovente, e dalla mattinata di riunioni, avvisi e ultimatum, la maggioranza esce con le ossa rotte. Palazzo Madama si conferma un terreno minato per il governo giallorosso.

IL VOTO RESTA UN’INCOGNITA fino alla fine. Il governo trema fino al calare del sole. In mattinata le destre vedono la possibilità di mandare sotto la maggioranza e fanno circolare la voce che voteranno no alla missione libica per chiedere «il blocco navale». Non è vero, ma il Pd ci crede e il capogruppo Andrea Marcucci avverte: «Chi vota no si assume la responsabilità di far cadere il governo».

PERCHÉ ALLA VIGILIA quattro senatori del Pd, altrettanti di Leu e altri ex 5s fanno sapere che non voteranno il rinnovo della collaborazione fra l’Italia e la Guardia Costiera libica. È la «scheda 22» della relazione approvata all’unanimità in commissione – nel silenzio generale – a far dire no in aula al dem Francesco Verducci: «Votare il rifinanziamento alla guardia costiera libica è voltarsi dall’altra parte» di fronte a torture e violenze. Le senatrici Emma Bonino (+Europa) e Loredana De Petris (Leu) chiedono il voto per parti separate. «Le missioni internazionali non sono tutte uguali, non si possono votare un tanto al chilo», dice la storica radicale, «serve un reset totale dei nostri rapporti con la Libia». Le fa eco De Petris: «Voteremo contro la parte che rifinanzia la guardia costiera libica». Il Pd alla fine deve cedere. Del resto la maggioranza non può fare altro, per non costringere i «dissidenti» a votare contro (nel caso dei senatori di Leu) o non votare (è il caso dei dem) tutto il pacchetto. Italia viva, che sulla Libia ha mal di pancia alquanto recenti, chiede e ottiene l’approvazione di una mozione, subito bollata come «acqua fresca» dall’ex 5 Stelle Gregorio De Falco.

IL TESTO, MESSO A PUNTO da Laura Garavini, impegna il governo ad accelerare la riscrittura del contestato Memorandum italo-libico sull’immigrazione firmato nel 2017 dal governo Gentiloni e che pochi giorni fa Tripoli ha assicurato al ministro Di Maio di voler modificare promettendo il rispetto dei diritti umani nei centri di detenzione dove rinchiude i migranti. L’esecutivo si impegna anche a istituire corridoi umanitari con i quali far arrivare i profughi. Oltre che ad addestrare la Guardia costiera libica al rispetto dei trattati internazionali. Impegni generici, ma sufficienti a renziani e governo per superare lo scoglio libico.

ALLA FINE LA VALANGA DEI SÌ mette al sicuro tutte le missioni. Nel voto per parti separate, la parte riguardante la Libia è approvata con 260 sì, 142 della maggioranza e 118 delle opposizioni. I no sono 14 e 2 gli astenuti – sei senatori di Leu, tre Pd (D’Arienzo, Valente e Verducci), Mantero M5S, De Bonis, De Falco, Bonino e Martelli del misto -. Le destre in aula alzano i decibel a dismisura, ma assicurano molte assenze.

MA NEL DIBATTITO è la maggioranza a segnare le maggiori distanze interne. «In Libia dobbiamo starci nel modo giusto», attacca Verducci, ricordando che i dem si erano formalmente impegnati a chiedere la fine della collaborazione con la Guardia costiera di Tripoli. «Da ora collaboreremo con la Marina libica» assicura il dem Alessandro Alfieri, «ma è giusto rimanere in Libia. Altrimenti lasceremo il controllo dei flussi migratori alla Turchia. E rimaniamo lottando perché i diritti umani vengano rispettati. Andarsene migliorerebbe la situazione?». L’ex ministra della Difesa Roberta Pinotti giura di aver visto con i suoi occhi i benefìci dei militari italiani sui colleghi libici: «Ho visto personalmente quanto la formazione abbia prodotto effetti migliorativi in ogni teatro in cui i nostri militari hanno fatto formazione. Con risultati importanti per la sicurezza e il rispetto dei diritti umani che dobbiamo rivendicare».

AL SENATO ALLA FINE il governo porta a casa la pelle senza problemi. Ma negli stessi minuti alla camera, in commissione, la maggioranza si spacca. Iv non vota la mozione degli alleati. E Laura Boldrini (oggi nel Pd ma già presidente della camera e prima portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati) si astiene con motivazioni all’esatto opposto di quelle dell’ex ministra: «Rapporti dell’Onu e inchieste giornalistiche descrivono il comportamento di elementi della Guardia costiera libica in violazione dei diritti umani e in combutta con i trafficanti. La condizione dei campi di detenzione è spaventosa, l’Onu stessa ne raccomanda la chiusura». Il deputato dem Matteo Orfini parla di un Pd «che ha cambiato linea» e avverte: «Ne riparleremo». Ora il provvedimento arriverà a Montecitorio. Ma lì i numeri della maggioranza sono blindati.

A PALAZZO MADAMA le opposizioni picchiano duro ma solo a parole: «Il governo è morto nella coscienza popolare e nei numeri del parlamento», urla Maurizio Gasparri. Poi parla della guerra «sbagliata» contro la Libia nel 2011, dimenticando il dettaglio che al governo c’erano loro.

DETTAGLI. ALCUNI anche inquietanti per Palazzo Chigi. Gasparri ricorda che già nel secondo governo Prodi la destra votò sì alle missioni e salvò la maggioranza. «Ma poi», conclude, «il governo cadde lo stesso». Ma non fu l’opposizione a farlo cadere.

* Fonte: Carlo Lania, Daniela Preziosi,  il manifesto[1]

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