Saluzzo, cento braccianti costretti a dormire all’aperto: «Riaprite il centro accoglienza»

Saluzzo, cento braccianti costretti a dormire all’aperto: «Riaprite il centro accoglienza»

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SALUZZO (CUNEO). Oltre cento braccianti in un parco pubblico di Saluzzo, cartoni per terra, il tempo che torna indietro ad anni bui che sembravano superati grazie alla realizzazione di un centro di accoglienza che ha dato un posto civile dove vivere a migliaia di lavoratori stagionali.
Oggi chiuso, causa pandemia.
Ma i braccianti sono arrivati comunque: prima tre o quattro, poi a decine, a centinaia, e si sono così accampati nel parco più bello della cittadina, di fronte alla residenza condominiale più prestigiosa.
Lo stallo però potrebbe essere superato dalla firma, lunedì scorso, di un Protocollo d’Intesa tra Prefettura, Comuni del saluzzese (otto su trentaquattro), Regione Piemonte, Provincia, associazioni datoriali, Caritas e forze dell’ordine per «la gestione di scenari di protezione civile in relazione agli aspiranti braccianti senza dimora».
Qualcuno dovrà inventarsi qualcosa per dar loro un riparo e, al contempo, prevenire problemi sanitari dovuti all’assembramento: o si riapre il centro di accoglienza, o si trovano dimore sparpagliate sul territorio.
Fabio Chiappello, educatore della cooperativa Armonia che gestiva il centro di accoglienza, fa turni da cinque ore nel parco Gullino, tra i braccianti che tornano dal lavoro, in bici, o che vagano in cerca di lavoro: «Mi riconoscono – racconta visibilmente contento – sono gli stessi degli anni precedenti tornati per lavorare, più molti nuovi arrivi: ci chiedono di riaprire il centro».
L’articolo 103 comma 20 del decreto 34/2020 è il cuore che regola la vita post Covid dei braccianti, e così recita: «Al fine di contrastare efficacemente i fenomeni di concentrazione dei cittadini stranieri in condizioni inadeguate a garantire il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie necessarie al fine di prevenire la diffusione del contagio da Covid-19, le amministrazioni dello stato competenti e le Regioni adottano soluzioni e misure urgenti idonee a garantire la salubrità e la sicurezza delle condizioni alloggiative».
La Regione Piemonte ha stanziato 97 mila euro per il noleggio dei container per alloggiare i braccianti nelle cascine o nei frutteti delle imprese: ipotesi che ad oggi non ha avuto successo. Fine.
Un senatore leghista Giorgio Bergesio, data la situazione tuona contro «i presunti lavoratori agricoli che invadono Saluzzo».
La parte più impressionante, eufemismo, delle parole rilasciate dal senatore al quotidiano La Stampa, è quell’aggettivo: «presunti».
Ora, quanti italiani siano andati nei campi a raccogliere mirtilli per dieci ore nessuno lo sa, come ignoti sono i risultati delle sei piattaforme informatiche che dovevano incrociare domanda e offerta di lavoro. Per tutti è una vita durissima, ma per moltissimi africani è oltre il limite: si alzano la mattina alle cinque, pedalano dieci quindici chilometri per raggiungere il campo, dieci ore di lavoro sotto il sole che brucia, poi si torna a casa, sempre in bici: la casa può essere un cartone in un parco pubblico.
Alcuni pedalano a vuoto, anche tutto il giorno, domandando lavoro di cascina in cascina.
La richiesta, del senatore di alloggiamento in azienda coincide curiosamente con le richieste del sindacalismo di base, ma si dovrebbe cambiare la normativa nazionale che non prevede alcun obbligo.
«Da cambiare è l’intera normativa del mercato del lavoro agricolo, totalmente liberalizzato», sostiene invece il sindaco di Saluzzo Mauro Calderoni. E, aggiunge, «creare un’unica piattaforma pubblica che incroci domanda e offerta di lavoro».
Ma il mercato selvaggio ha troppi vantaggi e nessun responsabile: perché ogni padrone ha un padrone più grande contro cui protestare. E quando arrivi al vertice della piramide e hai la possibilità di scambiare due commenti con i capi delle Op (Organizzazioni dei produttori) oppure direttamente con i mostri della grande distribuzione tedesca – ovvero i soggetti che fanno il mercato – quelli ti dicono più o meno «ma secondo lei se noi pagassimo le pesche più di trenta centesimi al chilo al produttore potremmo venderle a un euro al chilo, e anche meno, nei mercati rionali delle maggiori città? Dove vivono i consumatori più deboli».
Alla fine la colpa è dei poveri che vogliono mangiare la frutta.
Così i braccianti africani restano dove sono in attesa che qualcuno gli dia un lavoro e un riparo: si vive con la buona volontà di Caritas, Gruppo Abele, Cgil, Slow Food e altri che fanno manifestazioni, portano una coperta, verificano i contratti, piazzano un fornellino che le forze dell’ordine fanno finta di non vedere – i presunti cucinano tanto non perché pensano di essere in campeggio ma per risparmiare – in attesa che qualcuno si prenda la responsabilità di dargli un riparo.

* Fonte: Maurizio Pagliassotti, il manifesto



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