Cile. Verso l’accordo finale con i Mapuche

by redazione | 20 Agosto 2020 15:24

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La vita del machi Celestino Córdova è salva. Dopo un lungo negoziato con un governo che ha giocato fino all’ultimo con la sua vita e con quella degli altri detenuti mapuche, l’autorità spirituale ha annunciato martedì di aver messo fine a 107 giorni di sciopero della fame.

Una bella notizia appena offuscata dal contenuto dell’accordo raggiunto, molto distante dalle rivendicazioni iniziali: il machi potrà sì recarsi al suo rewe (l’altare mapuche che simboleggia la connessione con il cosmo), ma solamente per 30 ore, anziché per i sei mesi richiesti. E potrà anche richiedere il trasferimento a uno dei centri di educazione e lavoro previsti dall’ordinamento penitenziario per il reinserimento sociale dei detenuti.

Riguardo agli altri prigionieri politici in sciopero della fame, l’accordo stabilisce che non potranno essere oggetto di sanzioni disciplinari e prevede facilitazioni per il loro ingresso nei programmi di studio e lavoro, la creazione di «moduli speciali» nelle carceri per i rappresentanti dei popoli originari, la possibile revisione delle misure cautelari (con gli arresti domiciliari in sostituzione della carcerazione preventiva), la continuità dei «Dialoghi interculturali» mirati a una modifica dei regolamenti carcerari per i popoli indigeni.

«Ho apportato il mio umile granello di sabbia alla lotta del popolo mapuche», ha dichiarato Celestino Córdova in un comunicato letto dalle sue portavoce Cristina Romo e Giovanna Tafilo. L’autorità spirituale riconosce che i risultati ottenuti «non sono soddisfacenti nella loro totalità», ma, prosegue, «ho assunto lo sciopero della fame con dignità, ponendo la mia vita a disposizione della nostra lotta, allo scopo di avanzare un passo alla volta». Con ciò, conclude, «la lotta non è terminata, né quella dei prigionieri politici, mapuche e non mapuche, né quella del nostro popolo, né quella di tutti i popoli oppressi del mondo».

Soddisfazione per l’accordo raggiunto è stata espressa dal presidente Piñera, il quale ha persino rivendicato il rispetto della sempre calpestata Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui popoli indigeni. E ciò benché il suo articolo 10, che raccomanda sanzioni penali alternative per i rappresentanti dei popoli originari, in considerazione delle loro caratteristiche economiche, sociali e culturali, non sia mai stato applicato dai tribunali nei 12 anni passati dalla sua ratifica.

* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto[1]

 

py by Ministerio Bienes Nacionales / CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)

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